Regia di Jessica Hausner vedi scheda film
Un film decisamente "strano", sicuramente molto originale e per molti aspetti indecifrabile. Tutti elementi che concorrono a farne un'opera preziosa, un gioiello che sta catturando, tra festival e rassegne, l'attenzione di tutti coloro che si occupano di cinema e facendo incetta di premi e riconoscimenti. I l film ha un andamento piuttosto lento e pacato che può forse infastidire qualcuno, ma sono proprio quei suoi tempi dilatati che contribuiscono a produrre un effetto seducente, a creare un clima generale che rapisce l'attenzione. Io stesso sono rimasto talmente colpito da tutta una serie di elementi, tra pulsioni umane e richiami al soprannaturale, che ho voluto rivederlo una seconda volta, proprio per potermi calare di nuovo in quell'atmosfera sospesa tra la favola contemporanea e le aperture al Divino. Tra l'altro, il film è appena uscito nelle nostre sale e già sta facendo molto discutere, sia sulla stampa che sui vari blog di cinema, a dimostrazione di quanto sia intrigante per questo suo senso di incertezza, fors'anche di ambiguità, di affascinante enigma. La giovane regista austriaca, Jessica Hausner, ha saputo affrontare un tema epocale come quello del rapporto fra l'uomo e il Miracolo (che poi ne richiama altri come l'ingerenza del Divino sulla determinazione del nostro destino) in maniera decisamente intelligente, originale ed intrigante. La Hausner non dà ovviamente soluzioni circa questi grandi misteri, ma pone delle basi affinchè lo spettatore metta a fuoco i propri dubbi, o addirittura indaghi sul senso del suo rapporto con una Entità Superiore. Mi rendo conto, dalla mia posizione di laico ed ignorante, che sono temi che incutono timore data la loro devastante portata, ma la regista riesce ad affrontarli partendo dal basso, dal punto di vista della fragilità degli esseri umani, mostrando onestà intellettuale ed umana curiosità. Io credo che un film del genere (che peraltro a Venezia ha vinto un premio proveniente da ambienti cattolici) non possa offendere il cristiano fervente, pur non possedendo elementi oleografici nè agiografici rispetto alla Madonna e al suo culto. Ecco, diciamo pure che non si tratta di film destinato (per dire) agli abituali frequentatori di "Radio Maria", però credo anche che non possa urtare la sensibilità di chi vive la religione in modo intenso ed attivo. Tuttavia il film semina tanti di quei dubbi, tanti di quei pensieri "opachi" ed irrisolti, che l'intellettuale laico ci va a nozze. Io che intellettuale non sono ma laico certamente sì (come formazione culturale, intendo), del film ho infatti subito tutto il fascino. L'opera trasmette uno stranissimo senso di inquietudine, come una sorta di malessere, ma pacato e tranquillo. Che ti fa assumere un senso di "condivisione" con la protagonista del film. Una sensazione indefinibile, ma che è comunque diversa dal comune coinvolgimento emotivo che si prova in tante occasioni cinematografiche. Tu, spettatore, ti senti senza certezze, in balìa del destino (o della Volontà Divina) esattamente come la protagonista, indipendetemente dal fatto che tu sia o meno credente. Anche se -parere del tutto personale- chi ha fatto una scelta laica secondo me può godere, alla visione del film, di qualche sfumatura in più rispetto a chi è cattolico osservante. La vicenda narrata è molto semplice. Una ragazza affetta da sclerosi multipla, si reca a Lourdes, dove si immerge in quella umanità di pellegrinaggi e rituali che ben conosciamo. Da premettere che la nostra Christine non è affatto nè devota nè (almeno in base agli elementi di cui disponiamo) credente. Anzi è lei la prima a dire che il suo viaggio a Lourdes è solo un'occasione per "muoversi", per stare in mezzo alla gente, per non adagiarsi nell'ozio passivo. Particolarmente felici la mano e l'ispirazione della Hausner nel rappresentare lo sfondo di quest'avventura: un'umanità di poveri cristi prostrati ed appesi al filo della speranza, affiancati dal personale dell'Ordine di Malta incaricato di assistere i malati-pellegrini. Qui la regista ci racconta con stile assolutamente geniale e creativo un clima e un'atmosfera, ci restituisce le luci e i colori, le voci e i movimenti, di questa sorta di "centro del mondo", di questo punto d'arrivo di migliaia di anime, insomma un'esperienza unica anche per chi è agnostico e non crede. Ma il meglio arriva quando la macchina da presa inquadra quei volti, indugia su quegli sguardi, indaga su quelle personalità. E qui bisogna vedere il film per capire quale tipo di umanità pulsi in quei poveri pellegrini, molti dei quali la penitenza di terribili malattie ha reso acidi, invidiosi, perfidi. Alcuni di loro, è inutile nasconderlo, ci mettono a disagio. Proprio perchè (sto parlando per me) non siamo abituati al contatto quotidiano con chi, da una vita, è piegato dalla sofferenza, da una condizione senza scampo, ancor più accentuata nel vedere intorno a sè uomini felici e liberi da questa condanna, liberi di correre o anche semplicemente di camminare. Il dolore rassegnato si trasforma -è umanissimo!- talvolta in sentimenti cupi e perfino malevoli. Credetemi, vedendo scorrere sullo schermo, moltitudini di persone condannate ad una vita "dimezzata" mi ha procurato un forte senso di malessere. Ma poi, man mano, ci si abitua anche a questa visione, contaminati da quel senso di pacatezza e da quei tempi dilatati. E vedendo quelle persone "diversamente abili", a noi laici c'è una domanda che sgorga insopprimibile e clamorosa dal cuore, l'unica domanda possibile, la più tremenda e definitiva di tutte: "Come può Dio permettere tanta sofferenza?" e ancora: " In base a cosa Dio sceglie le pochissime persone da destinare al Miracolo?" Ovvio, clamorosamente ovvio, che a queste domande non esiste plausibile risposta. E anche nel film, puntualmente, c'è chi (una signora qualunque) pone questi quesiti ad un prete; il quale rabbercia qualche frase sconnessa facendo finta di dare una risposta, forse la prima che gli viene in mente. A dire il vero, questo sacerdote, secondo me (posto che non so se si possa dire se e quanto esso rappresenti la Chiesa) nel film ci rimedia una meschina figura, perchè lui è bersagliato da parte dei fedeli da decine di domande di questo tenore, a cui egli dà ogni volta non-risposte banali, talvolta anche idiote, lasciandoci col dubbio se questo prete "ci è o ci fa". Il personaggio della protagonista è rappresentato in modo davvero sapiente, coi tratti giusti, dipingendone una personalità ricca di sfumature non sempre chiare. Quando lei si confessa col sacerdote, svela la sua vera natura. Dice di sè che il dolore l'ha resa cinica e intimamente cattiva, che non prova nemmeno compassione per chi è più malato di lei, dal momento che di sofferenza le basta già quella che subisce lei, senza dover compatire anche quella degli altri. Questo è ciò che cova dentro. Ma quella che vediamo è una Christine calmissima e pacata. Che si muove con compostezza in quel fiume umano di pellegrini. Lei ogni tanto sorride, probabilmente perchè il suo sorriso cerca il riscontro di altri sorrisi. E invece ne trova pochi in giro, tra quei pellegrini chiusi e rassegnati. E ne trova ben pochi (questo sì che è grave e che mi ha quasi infastidito) tra il personale incaricato di accudirla e seguirla, al di là di una cortesia "di circostanza". Lei tenta di stabilire contatti e lanciare segnali, ma chi la accudisce ha solo fretta di portare a termine il suo "compitino" e non le restituisce nessun calore. In questo senso quegli appartenenti all'Ordine di Malta (sia le guardie che le "crocerossine") ci fanno le figure di bambocci senza alcuna vocazione autentica al volontariato che stanno espletando. A questo atteggiamento (diciamo così) assai poco coinvolto, fa eccezione una delle guardie, un uomo che sembra raccogliere i "segnali" di Christine e che, pur senza trascendere nella passione, almeno la ricambia con un'attenzione e un affetto che paiono rigenerarla e darle nuova forza per affrontare la sua condizione. Poi, esattamente all'inizio del secondo tempo, arriva la svolta più importante. Non si tratta di uno spoiler, dal momento che non c'è recensione che non lo abbia riportato. Christine, una notte, in quel letto a cui è inchiodata, comincia a muovere le sue braccia rattrappite da decenni di immobilità, poi scende dal letto e cammina nella stanza. Miracolo. E a questo punto mi fermo, perchè questa nel film è una "nuova partenza", e perchè la vicenda è solo a metà. Uno degli aspetti più "ricchi" e stimolanti dell'opera è proprio vedere come quell'umanità che la circonda reagirà di fronte a quel presunto miracolo, tenendo presente che le reazioni non sono affatto scontate e ci potrebbero anche essere delle sorprese. Una cosa però sul finale mi sento di dirla, solo un cenno: sia chiaro che quella guarigione non ha nulla (ma proprio NULLA) di rassicurante o rasserenante, e -men che meno- di qualcosa che esprima un "lieto fine". Un finale coerente al 100% con un film in cui nulla vi è di certo o di definitivo. Anzi: è un'opera che poggia proprio su domande che non hanno risposte e su risposte che non ammettono domande. Sta tutto qui il fascino (discreto e al contempo terribile e crudele) del film di Jessica Hausner. E per finire, un plauso incondizionato all'esile fisicità dell'attrice protagonista Sylvie Testud, semplicemente magnifica e potente nel farsi umano contenitore di disillusione e stupore, pietà e solitudine. Giuro che quel suo berrettino rosso non lo dimenticherò mai più. Andate a vedere questo film. Sarà un'esperienza che farà parte di voi a lungo.
Voto: 10
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta