Regia di Giuseppe Capotondi vedi scheda film
"La doppia ora" ha il pregio di lasciarti in sospeso fino ai titoli di coda. Un film a tratti spiazzante, che mescola e nasconde bene le proprie carte. Gli ingredienti di scena sono l'incontro di due solitudini, una rapina dal tragico epilogo e i misteri che ne conseguono. Capotondi gioca molto bene con gli stacchi, generando dei continui rimandi in un gioco dove nulla è quel che sembra ma che talvola, invece, è proprio così. La pellicola vira da atmosfere oniriche a tensioni che rimandano ad "Angoscia". Pur mantenendo un profilo minimale la suspence è alta e fin all'ultimo non è chiaro dove si andrà a parare. Anzi, forse la sorpresa più grande è che la soluzione è la più banale, quella che per prima è stata prospettata allo spettatore e, che per questo, meno ti aspetteresti.
La doppia ora del titolo fa riferimento a una battuta del protagonista, di nessuna importanza, sulle 20e20; da quel momento la doppia ora è ricorrente in momenti salienti della vicenda.
Il film poco concede allo spettacolo, è un thriller quasi intimista la cui soluzione è nello scavare a fondo nelle psicologie di personalità chiuse al mondo e refrattarie alla felicità. Ho letto da più parti di rimandi a Hitchcock ma, a mio avviso, il film verso il quale "La doppia ora" è debitore è "La donna del ritratto" di Lang. Capotondi confeziona un gioco ad inganno nei confronti dello spettatore, giocando anche sporco, ma lasciandolo alla fine soddisfatto. Certo, il ritmo è piuttosto basso, ma si tratta perlomeno di un prodotto che si discosta dalla produzione italiana di questi tempi anche se non mi sentirei di parlare di cinema di "genere". A mio avviso è un prodotto comunque più vicino all'autoriale, è un film cerebrale che poco concede all'immagine. I titoli di coda iniziano a scorrere, le luci in sala si accendono, sono le 22e22 ... a quel punto mi è stato chiaro che si trattava di un buon film.
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