Regia di Giuseppe Capotondi vedi scheda film
“L’attenzione non è mai abbastanza” è la scritta che appare in un frame alle spalle del neurologo, mentre Sonia, la protagonista del film, cerca di capire cosa le è successo. E in quel momento anche lo spettatore non ha ancora compreso appieno cosa sta succedendo realmente. Perché il debutto di Giuseppe Capotondi, in questo momento importante per il cinema italiano, non ha un avvio semplice, tanto meno un finale scontato.
Protagonisti de La doppia ora sono Guido e Sonia, due solitudini che s'incontrano in uno speed date torinese. La scintilla scocca all'istante, la fiamma s’accedente, ma poi si spegne all’improvviso. Nel momento più bello: quello dell’ora in cui tutto è sospeso fra boschi, villa e canto di uccelli, ecco l’arrivo della tragedia. La coppia viene prima presa in ostaggio da un gruppo di rapinatori a mano armata. Guido vive il peggio, nonostante Sonia non se la scampa in un nulla. Anzi, da quel momento, la sua vita diventa un incubo, continua persecuzione, con terrificanti visioni, soprattutto quelle in cui appare Guido. Ma lui è veramente morto?
Dopo un’ora incalzante e ai limiti della tensione, basta un nonnulla perché si possano tirare le fila e fare ordine. Infatti, l’unico problema de La doppia ora è la parte centrale, quando la sceneggiatura cambia totalmente e repentinamente tono. Ma la grandezza di questo film sta nella capacità dell’esordiente regista nel creare, con stile, il disordine e nel ritornare, alla fine, ad un ordine primordiale, fatto di incontri, semplici, sussurrati e in luoghi già frequentati (il film si apre e si chiude all’interno dello stesso luogo del primo incontro). Film di genere, ma che proprio del genere a cui appartiene ne stravolge le caratteristiche, gli usi e i costumi. Allora, film d’autore, sarebbe meglio ammettere, che si avvale di una regia attenta ad ogni dettaglio, con uno studiato uso del montaggio e delle musiche, queste ultime scarnificate nella loro essenza, hanno la stessa funzione delle parole leggermente sussurrate e lievemente accennate, che stanno lì a raccontarci della storia d’amore intima e difficile dei due personaggi. Doppia, quindi, non è solo l’ora, ma soprattutto la dimensione onirico-realistica, d’illusione-disillusione, di cambiamento-rassegnazione. Tutto merito di quanto il cinema italiano oggi può offrirci, fra i pochi attori veramente bravi: Filippo Timi e Ksenia Rappoport (vincitrice della Coppa Volpi) capaci di recitare solo con gli sguardi, i silenzi, le paure, al contrario delle tante e solite parole, che qui non hanno spazio, perché è un film che si avvale di quanto espresso e captato direttamente dalla natura. Protagonisti del film, allora, sono anche i respiri, i soffocamenti, il cinguettio degli uccelli e il fruscio che fan le foglie. Infatti, di poesia ce n’è tanta in questo film, poco italiano per la capacità di raccontarci l’amore senza mai accennare ad un telefonino, ad un palpeggiamento di tetta e culo. Semmai ricordandoci dell’esistenza di registi come Hitchcock, Polanski e Lang. Aspettiamo ardentemente di scoprire la seconda opera di un autore che così promettente, difficilmente perde tempo ed ore.
Giancarlo Visitilli
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