Regia di Fatih Akin vedi scheda film
"Alta cucina, musica, amore e sesso": è la ricetta di Soul Kitchen, commedia (e Premio speciale della giuria al Festival di Venezia) del Fatih Akin di La sposa turca. E "Soul Kitchen" è il nome del ristorante gestito dal cuoco di origine greca Zinos Kazantsakis (Adam Bousdoukos) in un capannone a Wilhelmsburg, quartiere-isola sulle rive dell'Elba ad Amburgo, "tempio" del fish & chips per pochi, affezionati clienti. Zinos ha già qualche problema con la sua fidanzata Nadine (Pheline Roggan), in partenza per Shangai, ma i veri guai devono ancora arrivare: prima, infatti, incontra un suo vecchio compagno di scuola, l'agente immobiliare Thomas Neumann (Wotan Wilke Möhring), che inizia a tormentarlo per indurlo a vendere il locale; poi suo fratello Illias (Moritz Bleibtreu), scapestrato ladruncolo condannato a tre anni di galera e prossimo ad aver scontato la pena, lo costringe ad assumerlo "per finta" come cameriere per poter ottenere il permesso giornaliero per uscire dal carcere. E come se non bastassero i guadagni che scarseggiano e il fisco che lo bracca senza pietà, un improvviso malanno alla schiena costringe Zinos, per mandare avanti il ristorante, ad assumere un nuovo chef, Shayn Weiss (Birol Ünel), dal carattere decisamente scorbutico ma amante delle raffinatezze dell'alta cucina e del "cibo per l'anima". La scelta, però, si rivelerà vincente: dopo qualche incertezza iniziale ("Voglio la mia cotoletta!"...), infatti, e grazie all'apertura di una scuola di musica nelle vicinanze del locale, le prelibatezze di Shayn riscuotono ben presto uno strepitoso successo e Zinos, con gli affari a gonfie vele, si convince finalmente ad affidare la gestione del ristorante al fratello per poter raggiungere in Cina l'amata Nadine. Solo che Illias perde il locale a poker proprio con il subdolo Neumann, il malanno alla schiena di Zinos, che non ha l'assicurazione sanitaria e non può permettersi di pagare l'intervento, si rivela un'ernia del disco da operare con urgenza e Nadine, nel frattempo tornata ad Amburgo, ha un nuovo fidanzato: decisamente troppo. Ma Zinos, anzichè crollare, trova la forza di reagire e, dopo essersi rivolto, grazie alla massaggiatrice Anna (Dorka Gryllus), a un santone della medicina alternativa ("I turchi lo chiamano Kemal lo spaccaossa"...) per curare la sua ernia del disco, riesce, inaspettatamente, a riprendersi il "Soul Kitchen" e a trovare un nuovo amore.
Tutto qui: una commedia scoppiettante di ritmo e vitalità, scritta da Akin insieme al protagonista (e amico) Adam Bousdoukos e sorretta da una colonna sonora strepitosa e dalla verve e dalla simpatia degli interpreti. In termini di scrittura, originalità e qualità della messinscena, però, Soul Kitchen tradisce ben presto le proprie, modeste ambizioni e il respiro "fokloristico" del prodotto di marketing destinato ai mercati internazionali, con, in cuor di metafora, tutte le sue lucine, i colori, le canzoni, i panorami, lo squallore delle banlieues del mondo e il kebab al posto giusto. Quindi, ottima fotografia (di Rainer Klausmann), ambientazione suggestiva, cast giovane e spigliato, un illustre cameo (qui la comparsata, decisamente sprecata, di Udo Kier), regia sempre accorta e stilisticamente notevole, impreziosita dal dinamismo della macchina da presa, script, impeccabile, alla costante ricerca del divertimento (dalle esilaranti gag in cucina tra Zinos e lo chef Shayn a quelle, altrettanto spassose, tra i due fratelli, come l'irresistibile sequenza del falò dei dépliants turistici sulla Cina), ventate variamente assortite di freschezza pop, spunti di matrice autobiografica, approccio rigorosamente "europeistico" alle società multiculturali, qualche bordata orgogliosamente scorretta, il gioco consolatorio del lieto fine, i coloratissimi titoli di coda e il piatto, senz'altro speziato e dai gustosi sapori, è servito. Ma lo sguardo di Akin, stavolta, appare meno incisivo e affilato delle aspettative e i guizzi più ispirati della vicenda affiorano con minor impatto e fluidità rispetto ad altri titoli, decisamente più convincenti, dell'autore (da Kunz und Schmerzlos, suo lungometraggio d'esordio nel 1998, a La sposa turca): trionfa il divertimento, quindi, a scapito di una densità emotiva che finisce per rivelarsi, tutto sommato, epidermica. Di ben altro spessore, invece, la colonna sonora, che presenta tra i vari brani, oltre a La Paloma, di cui vengono proposte ben cinque diverse interpretazioni (tra cui anche la versione cantata da Gabriella Ferri), gioiellini soul, funk, rhythm and blues e reggae (con titoli che spaziano da Rated X dei Kool and the Gang a Get the Money di Mongo Santamaria, da I Don't Know di Ruth Brown a Walking in Dub dei Burning Spear e Get Down di Curtis Mayfield), abilmente miscelati con l'elettronica dance e l'hip-hop (e molto altro ancora) in un godibilissimo e travolgente melting pot sonoro.
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