Regia di Fatih Akin vedi scheda film
Temevo la miscela est ovest in salsa turco/tedesca, foriera spesso di ciofeche indigeste (tipo Cous cous nel connubio di marca franca/tunisina), ed anche questa volta il richiamo alla cucina c’era tutto. Alla fine, invece, avrei puntato anche di più sul cuoco psicopatico lanciatore di coltelli, personaggio di “punta” (per restare in tema..) almeno del lato kitchen della pellicola.
Il lato soul la fa da padrone invece, assieme a quello busterkeatonante. Col (disco)patico protagonista (quella faccia da schiaffi di Adam Bousdoukos), in fondo il soul suona bene. Le cibarie, è vero, rimangono pretesto marginale, ma in una, per l’appunto, “cucina dell’anima”, i risvolti digestivi occupano uno spazio relativo… il saziarsi a tavola rimane gradito alibi per ascoltare – ed anche brillantemente – buona musica, per fare conoscenze – che sforino nell’intimo o meno -, per organizzare la propria esistenza attorno ad una passione, la cucina di cui sopra, da leggersi con mille sfumature diverse, anche sfiorando toni tragici trasposti in gioco per farne arma sottile a sostegno dell’intera architettura. Aiuta certo l’intreccio frenetico ed il carosello di personaggi e situazioni, col ristorante sgangherato eletto a denominatore comune, ed aiuta l’ottima caratterizzazione di tutti i “volti” che non sgomitano ma si integrano con eccellente tempismo al servizio della gag. Bravo in questo il regista Fatih Akin, a non sovra dosare, inserendosi(ci) in un Amburgo globalizzata e rendendola familiare assai più della Livorno di Virzì, a malapena sfiorata nel suo La prima cosa bella.
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