Regia di Fatih Akin vedi scheda film
Rammento di aver visto “La sposa turca” parecchi anni fa. Eppure non ricordo nulla di quel film. Lo strascico non ha lasciato traccia del suo passaggio sul suolo e non c’è verso di recuperare qualche polaroid del matrimonio nei cassetti della memoria. Non mi era piaciuto? Non ricordo nemmeno quello. Forse il mio cervello ha raggiunto la capienza massima nello stoccaggio dei dati ed essendo io nato nel millennio scorso probabilmente il mio contenitore mnemonico ha una capacità limitata. Un po' come il mio primo hard disk esterno che non avrebbe nemmeno potuto accostarsi, per prestanza e velocità, alle nuove generazioni da 16 TB. Cancellare per fare spazio sarà stata, dunque, l'unica soluzione per evitare ai neuroni il cortocircuito. Con un simile precedente di "cestinaggio" forzato e con la timida speranza che sia sia trattato di un episodio isolato e non di demenza precoce, ho deciso di recuperare “Soul Kitchen” dello stesso regista della "Sposa turca", convinto di avergli fatto gran torto cancellando il file e la cartella che lo conteneva. Non conosco molto il regista tedesco Fatih Akin, poco più grande di me, nato ad Amburgo da genitori turchi ed esploso a livello internazionale grazie a quella sposa dimenticata. "Soul kitchen" è stato un altro cavallo di battaglia a livello internazionale arrivando, addirittura, nelle nostre sale, trainato dal passaggio in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia del 2009. Dopo la mia comoda visione in divano sono abbastanza sicuro che non dimenticherò tanto facilmente questa brillante creatura cosmopolita. Un po’ perché sto scrivendo le mie misere impressioni, che potrò rileggere fra qualche anno, un po’ perché lo spettacolo offerto dal regista tedesco ha mantenuto le premesse di una fama che lo precede da anni.
"Soul Kitchen", se qualcuno non ne fosse a conoscenza, è un ristorante di Amburgo. La cucina del proprietario, il greco Zinos Kazantsakis, è orrenda, per usare un termine gentile, tuttavia è sufficiente per riempire le pance di coloro che mangiano per non avere fame. Poi però le cose crollano. Zinos viene mollato dalla fidanzata, che vola a Shanghai per lavoro, il fratello minore Illias, ladro e fannullone, esce di galera, il fisco reclama la sua fetta degli scarsi guadagni dell'attività e Neumann, vecchio compagno di classe di Zinos, mette gli occhi sullo stabile che ospita il ristorante, un vecchio capannone dalle enormi potenzialità architettoniche. Quando, poi, Kazantsakis, in preda ad un doloroso mal di schiena, affida la cucina allo chef Shayn Weiss la situazione si complica ulteriormente e la sua vita va definitivamente a rotoli. Ma la vita spesso insegna che chiusa una porta si apre un portone. Succede a Zinos una volta toccato il fondo, a Illias, e alla bella Lucia, cameriera del ristorante che si innamora del Kazantsakis giovane e imbroglione.
Akin ha scritto la sceneggiatura insieme al suo protagonista, l'attore Adam Bousdoukos, e nonostante qualche leggerezza di troppo è proprio la scrittura il segreto del successo di questo film. Certo è necessario chiudere gli occhi sul versamento in contanti all'esattore delle tasse e sulla facile intrusione della banda di ladri nel palazzo di Neumann così com'è poco plausibile che nessuno venga accusato di'incendio doloso dopo il rogo di "Skype". Se sono necessari i paraocchi in questi frangenti il resto del fim poggia le proprie basi su personaggi ben caratterizzati, a cominciare dal dolce sfigato Zinos, che Bousdoukos interpreta con autobiografica naturalezza, e su gag semplicemente esilaranti come l'incidente al cimitero, l'imbarazzante erezione sul lettino della fisioterapista, la dolorosa seduta di medicina alternativa presso lo spaccaossi turco. Insomma Bousdoukos e Akin si sono presi in giro, hanno scherzato sulla loro origine mediterranea, hanno giocato con le differenze culturali cercando di vedere il bicchiere mezzo pieno al presentarsi di ogni nuovo e insormontabile problema personale ed economico del tenero e sfortunato protagonista.
"Soul kitchen" è trascinato da un soundtrack curioso che mette voglia di stirare gli esausti muscoli lombari, è cibo rivitalizzante per l'anima, è una manciata di spezia in eccesso che altera la percezione del reale, è un budino che già provocherebbe un'orgasmo culinario senza bisogno di artifici. La vita per Akin e soci va vissuta senza paura delle conseguenze, delle aspettative altrui, dei pettegolezzi o dei pregiudizi. Il suo film ed il suo ristorante sono un'ode a tutto questo. Alla vitalità, all'amicizia e all'amore. Solo alla fine, ma in fondo poco importa, diventa occasione di riscatto.
A questo punto non mi resta che affrontare nuovamente la "Sposa turca", giusto giusto per evitare le ritorsioni del pazzo e terribile chef, armato di coltellaccio da cucina, interpretato da Birol Ünel, già già, proprio lui, lo "sposo turco" di quell'altro film. Prometto, prima o poi ci arrivo.
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