Regia di Victor Fleming vedi scheda film
A seguito di un battibecco la piccola Dorothy (Judy Garland) abbandona la casa degli zii e si incammina verso il proprio solitario destino. L'incontro con un bonario ciarlatano convince la ragazzina a ritornare sui propri passi e ricongiungersi con la famiglia. Sulla strada del ritorno, però, Dorothy è colta da improvviso maltempo. Mentre gli zii e gli operai della fattoria si nascondono nel rifugio, Dorothy, arrivata troppo tardi, ripiega dentro casa dove cerca protezione tra le coperte del proprio letto. La tempesta, che infuria mettendo a soqquadro la fattoria, sradica l'abitazione di famiglia la quale finisce, prima nell'occhio del ciclone e poi sul suolo di uno strano villaggio abitato da piccoli omini. Nell'atterraggio la strega dell'Est, che opprime gli abitanti di quel luogo incantato, rimane uccisa e Dorothy diventa eroina per i piccoli e vessati abitanti quanto acerrima nemica della strega dell'Ovest che desidera vendicare la morte cruenta della sorella, schiacciata dalle fondamenta della casa. La piccola Dorothy, in barba ai sentimenti di ripicca della strega e sconvolta dallo strano luogo in cui è stata catapultata dall'uragano, vorrebbe solo tornarsene nel Kentucky e per questo su indicazione della strega Glinda segue il sentiero dorato che la conduce al cospetto del Mago di Oz. Costui è in grado di indicarle il modo per ritornare a casa. Lungo la strada Dorothy conosce alcuni strampalati personaggi: un leone codardo in cerca di coraggio, un uomo di latta senza cuore ed uno spaventapasseri dalla testa piena di paglia. Con l'aiuto dei nuovi amici e di un paio di scarpette rosse Dorothy fronteggia con successo gli imprevisti del viaggio per tornare, infine, tra le braccia amorevoli della zia.
La cronaca riporta che il mago di Oz ebbe in Italia scarso successo quando finalmente mise piede nelle sale nel 1949, dieci anni dopo l'uscita negli Stati Uniti. Un lasso di tempo, fin troppo elevato per colpire i cuori di una generazione ormai abituata ad altri standard cinematografici, ed uno scrittore, L. Frank Baum, che non ebbe mai grande visibilità nel nostro paese, decretarono l'insuccesso del film nelle nostre sale. Non contribuì alla causa del botteghino l'ampio rimaneggiamento della colonna sonora nella versione italianizzata del Quartetto Cetra, che mantenne inalterata solo la celebre "Over the rainbow", tanto che l'edizione italica disponibile ora è quella ridoppiata nel 1985 per garantire una maggior coerenza con l'opera originale. Che sia piaciuto o meno nel nostro paese "Il mago di Oz" fu un grande successo negli Usa, soprattutto nel dopoguerra e merita la fama che lo precede non solo per meriti artistici ma anche per i volumi che, a quanto pare, sono stati scritti per raccontare l'incredibile evoluzione del progetto e la lavorazione di questo film che doveva rappresentare, nelle strategie della MGM, la risposta alla Biancaneve di Disney, in un mercato che mostrava sempre più interesse strategico nei confronti dei giovanissimi. La produzione subì mille contrattempi, vide passare in cabina di regia quattro registi, svariate riescritture furono eseguite prima di arrivare a quella finale. Divennero leggendarie le scorribande dei bambini e (soprattutto) dei nani che interpretavano i Mastichini. Questi ultimi spesso si rendevano protagonisti di atteggiamenti scostumati durante le riprese tra alcool e comportamenti inappropriati nei confronti delle attrici. L'attore Buddy Ebsen, invece, rimase intossicato dalle polveri di alluminio utilizzate per trasformarlo nell'uomo di latta e finì in ospedale alcuni mesi perdendo il posto a favore di Jack Haley. Durante un incidente di lavorazione Margaret Hamilton rimase ustionata a causa del trucco a base di rame che rendeva il viso della strega dell'Ovest di colore verde. Se la cavó con poco, lei che era il rimpiazzo di un'altra attrice ben più avvenente, Gale Sondergaard premio Oscar nel 1937, la quale preferi far fagotto quando venne imbruttito il suo personaggio. Infine il leone avrebbe dovuto essere un vero micione secondo le volontà di Marvin LeRoy ma le cose già erano abbastanza caotiche cosicché il produttore e regista dovette accontentarsi dell'attore Bert Lahr, di un trucco pesante e di un costume peloso in grado di fiaccare anche il più allenato degli attori.
Dei quattro registi il più sfortunato fu sicuramente Richard Thorpe che venne allontanato dopo aver girato una buona parte del film. Tacciato di non essere abbastanza adatto ad un pubblico di bambini venne rigirato da Victor Fleming che prese il posto di George Cukor in un valzer di panchine che vide rimanere il secondo regista sul campo per pochi giorni. Nemmeno Fleming completò il lavoro troppo impegnato a rincorrere Cukor e sostituirlo negli altri set dell'epoca. Dopo il mago di Oz, fu la volta di Via col Vento. A finire la pellicola ci penso, perciò, King Vidor. Dal punto di vista artistico si nota una certa differenza di stile tra i due registi. Vidor girò il prologo e l'epilogo in seppia mentre è di Fleming il corpo principale del film. Vidor lavorò in maniera curata sulla profondità di campo attraverso un effetto bokeh che ebbe il merito di ridurre l'appiattimento delle immagini e di rendere più verosimile il paesaggio riducendo al minimo l'impatto scenico dei fondali in lontananza. L'effetto venne ottenuto attraverso un'evidente sfocatura degli elementi ritratti in secondo piano che si potevano distinguere dal fondale (ancor meno delineato) per piccoli ed impercettibili movimenti. Ciò permise di conferire maggior profondità e rendere il trucco prospettico molto efficace. Con un effetto bokeh già in secondo piano far sembrare un fondale, in terzo piano, realistico fu un gioco da ragazzi per il regista che si è avvalse, inoltre, di una splendida fotografia color seppia, in grado di ingannare l'occhio oltre che conferire una netta contrapposizione tra realtà (mono tinta) e immaginario (colorato e sfavillante). Fleming, a contrario optò per inquadrature ampie e per nulla preoccupato dell'effetto fondale diede la maggior visibilità possibile ad una scenografia strabiliante e di grande impatto visivo che tuttavia risultava meno realistica e più piatta. Molto interessante l'uso delle inquadrature che seguendo o anticipando i movimenti dei protagonisti mettevano in risalto le bellezze sceniche contribuendo ad accentuare l'effetto meraviglia nello spettatore. Tale effetto sarà stato, senza dubbio, notevole sul pubblico di fine anni '30, non ancora assuefatto dalla magniloquenza del colore e dalle grandi produzioni. Le scenografie d'altro canto, riescono ad emozionare anche i contemporanei avvezzi alla fredda precisione della grafica computerizzata.
Il Mago di Oz è dunque un film ben girato, che si avvale dell'apporto straordinario delle scenografie, di effetti speciali realistici (la casa nel tifone è ancora spettacolare) e di una colonna sonora rimasta nell'immaginario culturale americano. La script invece risulta meno performante, più legato al concept del musical che al film d'avventura. Non contribuirono, sicuramente, i rimaneggiamenti che edulcorarono la storia per renderla più adatta ai minori mentre risulta divertente ed ironica la scelta di affidare ai personaggi del Kentucky un ruolo preciso nel mondo di Oz. Chissà se il materiale girato da Thorpe sia andato perso o sopravvive dentro qualche caveau. Sarebbe interessante poterlo visionare, magari in un documentario sulla genesi del film. Se spesso le cose cambiarono in quello stregato calderone di fino anni '30, a contrario, rimase costante e prezioso l'apporto fisico e canoro di Judy Garland nei panni iconici della piccola Dorothy con le sue treccine castane e le scarpe color rubino. Impossibile pensare a Judy Garland in altra veste. Impossibile non scorgere, nella giovanissima Dorothy, l'emblema di un paese legato ai propri valori, assopiti nella cupidigia, nella stoltezza, nella pavidità, nell'ignoranza ma pronti a risvegliarsi nell'animo candido e genuino dell'America migliore.
Paramount Network
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta