Regia di Kirk Jones vedi scheda film
Piccolo ma grande, questo bellissimo film. Con tutti i crismi (e soprattutto lo stile) della piccola produzione indipendente, eppure con un attore protagonista da molti considerato l'interprete più grandioso del cinema popolare contemporaneo. Un piccolo film basato su una sfacciata esibizione di buoni sentimenti, eppure classico prodotto di quelli che trionfano al Sundance e di là partono alla conquista del mondo. Non ho notizie degli incassi americani della pellicola, ma sto assistendo ad un suo percorso nelle nostre sale piuttosto onorevole, con un successo al botteghino più che soddisfacente. Va detta subito una cosa. Questo è uno di quei film di fronte al quale il pubblico può assumere due opposti atteggiamenti. Chi lo troverà alquanto ricattatorio nel suo agganciarsi ai sentimenti di chi vagheggia uno spirito improntato agli affetti famigliari (che potremmo definire "natalizio") e chi invece (come il sottoscritto) si è mostrato completamente vulnerabile ed è stato consapevolmente felice di farsi travolgere dalla cappa malinconica e dal clima di rimpianto che avvolgono tutta la vicenda. E d'altra parte chi mi conosce sa che ho sempre amato un cinema che indaga sui sentimenti e sugli affetti, fatta salva la dignità e la buona fede di chi non utilizza tali elementi come arma di ricatto. Oltretutto nel nostro caso a fugare ogni dubbio basterebbe una interpretazione da Oscar di un protagonista semplicemente immenso. Su di lui tornerò più avanti analizzando il cast, ma alcune cose le devo proprio dire. Certo, ammetto che le sue ultime scelte professionali non sono state tutte del medesimo livello, ma definirlo (come qualcuno ha provato a fare) "bollito", è per me cosa fuori da ogni grazia di Dio. Io che amo da sempre il mestiere d'attore, e che percepisco la magìa che accompagna certe prove artistiche, qui ho trovato pane per i miei denti: il vecchio Bob si lascia andare ad una serie di espressioni, di tic, di facce e di mosse, da far impallidire qualunque altro suo collega. Egli giganteggia dalla prima inquadratura (con lui che "governa" il giardino sulle note suadenti di Perry Como) fino all'ultima (una cena di Natale in cui tutti sorridono davanti ad un bel tacchino americano). E confesso, accantonando ogni vergogna, che nel buio della sala ho dovuto più volte ricorrere al fazzoletto: questo è un film che commuove davvero, di una emozione quasi liberatoria, che colpisce ed affonda il cuore (poi, vabbè, ognuno ha soglie di sensibilità diverse, e i "ciniconi" esisteranno sempre). Frank Goode è un signore sui 70 anni, onesto e dignitoso, che consuma i suoi giorni da solo nella propria casetta, sistemando il prato, facendo lavoretti, cucinandosi da mangiare: il più classico dei pensionati. Vedovo da pochi mesi e con i 4 figli sparsi per l'America, si sente ovviamente lambire dalla solitudine, e così contatta i figli per convocarli in vista di una bella rimpatriata famigliare. Ma ci resta subito male quando percepisce l'indisponibilità dei ragazzi, i quali accampano i più svariati impegni per declinare l'invito. Allora il buon Frank, nonostante il medico di famiglia lo abbia sconsigliato a causa di problemi ai polmoni, prepara una valigia e decide di muoversi lui verso ciascuno dei 4 figli. E lì inizia un viaggio che il regista Kirk Jones ci racconta attraverso dettagli sublimi, con conoscenze occasionali dipinte con un tocco umano che ha del magistrale. Soprattutto nella primissima parte del film, Frank si imbatte in una umanità che commuove nella sua semplicità e disarmante normalità, inanellando una galleria di volti che ci mostrano quella che io definisco "un'altra America". Cioè (vivaddio) non gli intellettuali fighetti di Manhattan o gli studenti rockettari dei Campus, ma gente di cui respiriamo l'appartenenza alla provincia americana, dei poveri cristi, lavoratori o pensionati, gente umile, gente qualunque. Ciò detto, si entra nel vivo delle singole visite che Frank fa ai 4 figli. E qui abbiamo modo di apprezzare lo stile convincente del regista che, sorretto da ottima sceneggiatura e dialoghi brillanti, riesce a delineare tre diverse personalità e tre diversi caratteri, avvalendosi peraltro di tre interpreti superlativi (il perchè ho detto "tre" attori quando i figli sono "quattro", lo scoprirete solo andando al cinema). E' bello vedere l'impatto di Frank con la realtà di ogni singolo figlio: si tratta di incontri raccontati con tecnica narrativa eccellente, esplorandone i risvolti emotivi con una attenzione e sensibiltà umana che non possono non generare commozione. Detto della monumentale performance di "nonno" De Niro, diciamo delle altre tre star. Drew Barrymore. Confesso che ero davvero schifato dalle sue ultime partecipazioni a certe stupidissime commediole, ma questo film me l'ha fatta amare di nuovo, nel ruolo di una ballerina la cui vita prende una piega inaspettata. Sam Rockwell. Un attore che adoro da sempre. Con quella sua faccia impunita da topo, si sta rivelando (anche grazie a sue scelte artistiche assai ponderate) attore clamorosamente versatile. E poi la mia amatissima Kate Beckinsale, della quale sono fan-innamorato da tempi lontani, ma non aggiungo altro perchè sono talmente sedotto dal suo sensuale carisma che ogni mio giudizio sarebbe "di parte". Frank Goode voleva innanzitutto essere un buon padre. Ma aveva scelto la maniera sbagliata per attuare questo proposito. Lui aveva già deciso tutto per il futuro dei propri figli, senza mai cercare di ascoltare il loro parere. Come ogni padre che desidera il meglio per i propri "bambini", lui aveva delineato per essi dei percorsi di vita. E soltanto ora, anziano e solo, si rende conto che tali percorsi spesso subiscono deviazioni, non escluse quelle spiacevoli, proprio perchè la vita spesso è più complessa di come ce la eravamo prefigurata. Il senso del film sta tutto qua: nelle sfumature delle reazioni di Frank di fronte alle "deviazioni" cui prima accennavo. Allo sconcerto iniziale subentra una reazione quasi incredula e vagamente indispettita, ma poi alla fine Frank accetterà i suoi figli per quello che sono (diventati). E bisogna dire che c'è un rendez-vous definitivo e importante tra Frank e i figli, affidato alla scena "centrale", che li vede riuniti per un pranzo in giardino: si tratta di una bellissima sequenza onirica, in cui Frank immagina di scontrarsi molto duramente coi 4 bambini. Una scena da pelle d'oca, ricca di tensione, intensissima. Quattro grandi attori al servizio di una bella storia di sentimenti. PS: il personaggio di Frank per certi versi mi ha ricordato mio padre, che non c'è più. Un uomo semplice, forse perfino troppo. Proprio come Frank.
Voto: 10
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta