Regia di Tom Ford vedi scheda film
"Parlo mai di astrofisica, io? Parlo mai di biologia, io? Parlo mai di neuropsichiatria? Parlo mai di botanica? Parlo mai di algebra? Io non parlo di cose che non conosco! Parlo mai di epigrafia greca? Parlo mai di elettronica? Parlo mai delle dighe, dei ponti, delle autostrade? Io non parlo di cardiologia! Io non parlo di radiologia! Non parlo delle cose che non conosco!". Il celeberrimo sfogo di Nanni Moretti in Sogni d'oro andrebbe applicato alla lettera a Tom Ford, stilista assurto a fama planetaria grazie a Gucci e Saint Laurent, che produce occhiali e profumi e che, purtroppo, non si limita a parlare di cinema, ma si concede anche alla regia di film. Al suo primo lungometraggio, ispirato all'omonimo romanzo di Christopher Isherwood, Ford mette in scena un uomo sulla cinquantina (Firth, premiato a Venezia con la Coppa Volpi) che ha improvvisamente perso il suo compagno (Goode) a causa di un incidente automobilistico. La sua vita sembra avere smarrito qualsiasi senso, la compagnia della sua migliore amica (Moore) è poco più che un palliativo e le lezioni al college sono un obbligo al quale ottemperare svogliatamente. Fino a quando un ragazzino, suo studente, non accende una nuova luce in una vita ormai spenta e nella quale il pensiero del suicidio aleggia costantemente.
Estetizzante, oleografico, ambientato a Los Angeles durante la crisi di Cuba nel 1962, il film è un florilegio di situazioni scontate con aggiunta di scorci onirici e flashback pretestuosi, nel quale si respira un'insopportabile atmosfera decadente che guarda al cinema di Ivory con occhio gelido e stile calligrafico da lucidatore d'ottoni.
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