Regia di Tom Ford vedi scheda film
L'ho trovato eccessivamente accartocciato al suo personaggio, Colin Firth: distinto professore omosessuale, affranto dalla perdita del suo compagno.
Siamo negli anni sessanta, tangibili i disagi, per la guerra (calda e fredda), per l'emancipazione: esemplare la “lectio” sulla paura sociale verso le minoranze, tutte le minoranze.
Ma avrei preferito un'esorcizzazione più articolata del suo status da “single”; Colin dopo la perdita rimane come svuotato, in surplace, s'imbatte si, in altri esseri, ma non coglie o non vuole cogliere messaggi, elabora un meticoloso suicidio, rimembra il suo amato in delicato bianco e nero, si offre quasi inerzialmente ad amicizie di vecchia data (una Julianne Moore forse troppo caratterizzata) ed incontri incompiuti con intriganti personaggi, fino all'uscita col suo affascina(to)nte allievo che forse vorrebbe solo sperimentare un diverso punto di vista.
A noi, in realtà, questo diverso punto di vista, sfugge.
Noi che non riusciamo a penetrare la scorza di quest'uomo che probabilmente percepisce la sua piena deriva, il suo fine-percorso, ma fatica ad attribuirgli un senso, e chiede inconsciamente aiuto agli eventi, ad ogni singolo evento.
Emblematico in un'immagine che splendidamente ci viene tradotta ad inizio film, al momento del suo risveglio e del faticoso rimettersi in sesto per sganciarsi da memorie scomode e riallinearsi ad una necessaria consuetudine di quotidiano, di esausto ma necessario sopravvivere.
Ci rimane impressa solo l’idea di “diverso” con la sua esistenza elegantemente ciondolata, che fatica a - ma forse non ne sente, ne vuole sentirne il bisogno – (ri)omologarsi.
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