Regia di Tom Ford vedi scheda film
Il lutto vissuto nella solitudine è un mare in tempesta, in cui il ricordo è come lo schiaffo soffocante di un'onda di acqua salata. Il riverbero dell'acqua restituisce talvolta la visione di una bellezza abbagliante, che è il volto della gioventù, dell'innocenza non ancora segnata dalla coscienza del male, e che ci provoca con la sua irraggiungibile perfezione ed integrità. George legge negli occhi dei ragazzi un immacolato amore per la vita, in cui non c'è l'ombra della paura del giudizio altrui, né della sofferenza per il proprio modo di essere. Per lui, omosessuale di mezz'età, rimasto tragicamente orfano del suo compagno, il mondo è ormai un teatro vuoto, in cui il sipario si è chiuso, alle sue spalle, su una scena disadorna, dove permane solo la muta rappresentazione dell'incomprensione e del preconcetto. La "normalità" gli tende unicamente una mano pietosa, con cui vorrebbe trascinarlo nel proprio regno: quello delle relazioni "vere" tra uomini e donne, che portano a fondare un famiglia, e delle complicità tra uomini che sono solo le solite amicizie, fatte di bicchieri di birra e bravate adolescenziali. Non c'è apparentemente posto, per la sua condizione "deviante", nella nobile sfera del dolore: il suo è uno strazio che non ha diritto di essere espresso, e forse nemmeno vissuto, perché è solo il postumo di un "errore" che merita soltanto di essere dimenticato. Questo film, più che descrivere il processo di elaborazione di una perdita, mostra il difficile percorso di chi, nell'indifferenza generale, si trova a coltivare un'anomala forma di "quel che rimane": i pezzi di qualcosa che non ha definizione, né ammette riscontro in ciò che l'uomo solo vede quando si guarda intorno.
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