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La vie nouvelle

Regia di Philippe Grandrieux vedi scheda film

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La recensione su La vie nouvelle

di alan smithee
9 stelle

locandina

La vie nouvelle (2002): locandina

 

Ha un prezzo la vita umana se essa stessa è ridotta ad una merce da utilizzare, da sfruttare fino a disfarsene?

Un soldato americano in licenza si dà alla tratta di prostitute accompagnando un losco personaggio nei pressi del territorio, situato nella periferia degradata di una città nell'Europa dell'Est, dove spadroneggia un boss specializzato in prostituzione e gestione di locali sexy per soli uomini. Dopo aver effettuato una cernita di tutto ciò che figurava in vendita, il ragazzo si concede un momento di sesso con una bella e sinuosa ragazza del boss di nome Melania. Sesso sbrigativo, frettoloso, fatto male: ma il soldato perde la testa per la ragazza e decide di prendersela, di riscattarla, a qualsiasi prezzo, anche mettendo a repentaglio le manovre ormai organizzate dal suo socio. Tutto ciò in un delirio crescente dove le immagini si fondono, si impastano, e i contorni perdono ogni definizione e la ragione svanisce per tramutarci in cani rabbiosi e furenti, istintivi e feroci.

Dopo “Sombre” e prima di “Un lac”, Philippe Grindrieux dirige il suo film di transito alla ricerca del sentimento: il suo film più difficile e disperato, che rinuncia sempre più alla narrazione, almeno nel suo stile più tradizionale e consueto, per perdersi in un delirio senza fine dove i sensi hanno la meglio sull'azione. In questa ideale, ipotetica trilogia dell'autore, La vie nouvelle (titolo amaro, scientemente incongruo e sarcasticamente illusorio) è un purgatorio (di disperazione ma anche di cemento, un alveare di anime in penitenza costrette a vivere in formicai di cemento opprimenti) dove il sentimento comincia a prendere vita, ad intuirsi, a manifestarsi, salvo sciogliersi come cera bollente e disfarsi nella brutalità che disperde i contorni di ogni cosa.

Solo con il successivo “Un lac” l'amore, il sentimento genuino, riuscirà ad avere la meglio e a trovare un suo cammino.

Grandrieux ritrova Marc Barbé, che non perde ferinità e la cui severità dei tratti è perfetta a rendere un personaggio perso nei suoi loschi commerci di carne (viva): e se Zachary Knighton è perfetto a rendere l'”all american boy” che persegue un suo istintivo quanto ingenuo proposito o capriccio, con i suoi istinti tattili di esplorare corpi e anfratti, la sua ossessione per i capelli che ama tagliare, quasi spezzandoli, la statuaria e sinuosa Anna Mouglalis, bella più che mai, donna prigioniera e percossa che si duole e compiace al tempo stesso, obbediente ma fiera del proprio ruolo, è una valida e credibile ragione per cacciarsi in un delirio sensoriale dove i corpi si annientano e deformano, e la musica diventa un rumore assordante ed aggressivo, e l'uomo si riduce ad una larva mossa solo da istinti primordiali che nemmeno riesce a controllare.

 

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