Regia di Sophie Barthes vedi scheda film
Il tentativo di cogliere l’ineffabile sempre in bilico tra ironia e dramma, quei “21 grammi” che nel caso di Paul Giamatti assumono grottescamente la forma di un cecio... Un film di una giovane e sconosciuta regista cosmopolita che alle piroette visionarie di un Michel Gondry predilige la risultante labirintica di una vita che fatica a trovare una ragion d’essere.
Un “being Paul Giamatti”, in una grigia San Pietroburgo, che offre un attore in crisi e oberato da un’anima talmente contorta e pesante che gli impedisce anche di essere veramente sé stesso.
La via di uscita si presenta sotto forma di un’impresa che estrae l’anima dal corpo e permette di sperimentare la vita senza di essa e addirittura di impiantare altre anime allo scopo di sperimentare nuove sensazioni. Ma la soluzione sarà peggiore del male…
Nei dintorni Philip K. Dick per arrivare ad una sequenza sicuramente debitrice a quella onirica di 2001 Odissea nello spazio. Ed è forse proprio questa sequenza che risolve tutto il film, nel suo invito a guardarsi dentro, ad affrontare i mostri dentro (quelli nel libro sfogliato da Giamatti sono di Odilon Redon) ma anche a riappropriarsi della propria identità. Resta insoluto ovviamente il grande quesito… cosa sia l’anima, cosa definisca e come ci definisca… dove vada dopo la morte e, a volte, dove vada mentre si è ancora in vita…
Finale che si stempera tra solitudini, destini che si sfiorano e struggenti inesplicabilità…
Colonna sonora suggestiva, che include alcuni suggestivi brani di Lhasa De Sela, scomparsa quest’anno a soli 37 anni.
Un film che riesce a instillare una forma sottile di malinconia e che necessita di un’attenzione profonda nella visione per essere apprezzato pienamente… Per me… da vedere…
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