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La prima cosa bella

Regia di Paolo Virzì vedi scheda film

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La recensione su La prima cosa bella

di giurista81
6 stelle

Film apprezzatissimo dalla critica ed esaltato (oltremodo) da una lunga serie di riconoscimenti, quali tre David di Donatello su diciotto candidature (migliore attore e migliore attrice protagonista nonché miglior sceneggiatura) e quattro Nastri d'Argento su dieci candidature (migliore regia, miglior film, migliori costumi e migliore attrice protagonista), La Prima Cosa Bella è in realtà un film drammatico, mascherato da commedia, in cui Paolo Virzì parla della sua Livorno attraverso il filtro di una famiglia problematica rappresentato dallo sviluppo della loro vita in diversi periodi storici. Si va dall'adolescenza al momento in cui i figli si trovano a dover salutare per sempre i propri genitori. Ne deriva un evidente fotografia del triste incedere del tempo. Il film riesce a trasmettere le emozioni, strappa qualche lacrimuccia come si vede nella scena metacinematografica in cui la Sandrelli guarda il film al cinema. Passano gli anni, si perdono i capelli, si tingono di bianco quelli che restano, ma l'amore di una madre per i suoi figli resta sempre lo stesso. Virzì mette a nudo la realtà, mostra quanto i sogni, spesso e volentieri, al passare gli anni si svuotino dei loro contenuti per restare involucri vuoti che riducono le aspettative in dolci ricordi del tempo che fu. Siamo destinati a staccarci dal confortevole abbraccio dell'infanzia e dobbiamo guardare oltre, in una lunga corsa in cui solo alla fine ci è permesso di riavvolgere quel nastro di cui cantava anche Barbarossa nel celebre pezzo "come dentro un film".

Al fine di mantenere alto il ritmo e garantire il costante coinvolgimento del pubblico, si sceglie (giustamente) di sviluppare il soggetto attraverso il classico canovaccio dei due binari di storia, uno ambientato ai giorni di oggi e l'altro nel 1971; l'uno si alterna all'altro, per effetto dell'artificio del flashback. Vediamo così prendere piede i ricordi di gioventù di due uomini adulti, Mastrandrea e la Pandolfi, che si ritrovano al cospetto del capezzale della madre, ormai malata terminale ma ancora gioiosa di vivere (una ragazzina nell'animo). Vengono così mostrate tutte le vicissitudini di vita, le difficoltà e le promesse di successo che hanno accarezzato una giovane donna eletta, a suo tempo, "la mamma più bella" in un concorso di bellezza locale, con tutte le problematiche legate al normale decorso degli anni. Virzì mostra le liti tra i genitori, il legame tra i due fratellini, i primi amori e le scorribande scolastiche, ma anche le dispute amorose e quelle per chi tiene i figli con lo strascico di rancori di famiglia su cui, poi, alla fine si finisce sempre per mettere una pietra sopra. Su tutto brilla la costante gioia di vivere di una madre che non perde mai la gioia di vivere e il suo amore per i figli. Un po' imbranata, sospesa in un mondo tutto suo e piuttosto ingenua, sembra tuttavia proporre quello che dovrebbe essere il giusto approccio per affrontare il limitato tempo concesso a ognuno di noi. Non a caso il film si conclude sintetizzando nello stesso giorno due momenti che dovrebbero essere agli antipodi. La donna, infatti, decide di sposarsi il medesimo giorno in cui si troverà costretta a prendere quel lungo viale da cui nessuno è più tornato. Lo farà col suo solito modo, sorriso, atteggiamento leggero e rincuorante, abbracciando i suoi due figli, come faceva quando da piccoli si allontanava con loro dai problemi, invitandoli a cantare con lei il suo pezzo preferito (ovviamente che da anche il titolo al film). "Però, in fondo, ci siamo proprio divertiti nella vita" commenta, mentre i figli stanno per prepararsi all'estremo saluto. Eppure di divertimento nella vita di questa famiglia, piuttosto problematica, sembra non essercene stato, ma non importa. La donna sembra volerci dire che bisogna saperci accontentare. 

Pellicola dunque melanconica, triste, tutt'altro che commedia, a mio avviso. Stefania Sandrelli e Micaela Ramazzotti, che si dividono il personaggio protagonista (la prima da età avanzata, la seconda in gioventù), sono di gran lunga le migliori del cast. Le interpretazioni, infatti, sono il punto forte del film. Virzì fa prendere lezione di dialetto ai suoi attori principali e fa parlare in livornese persino i romanissimi Valerio Mastrandrea (personaggio estremamente ombroso e un po' sottotono) e Claudia Pandolfi. Alla fine la direzione degli attori e le intepretazioni sono il punto di forza di un film che, per il resto, va sul sicuro, senza inventarsi niente di particolare. L'epilogo è pressoché dichiarato fin dall'inizio. Alla fine resta la rappresentazione della triste parabola della vita vista dagli occhi dei figli, una parabola che deve essere metabolizzata, assorbita e superata dalla giusta prospettiva, quella del divertimento e dell'unione familiare. 

Colonna sonora legata al periodo storico, con qualche soluzione non sempre comprensibile, come a esempio la scelta di piazzare Born To Be Alive di Patrick Hernandez nella scena del ricovero del padre dei figli ormai prossimo a spirare.

Piacerà sicuramente a molti, specie al pubblico femminile.

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