Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
Virzì inscena nella sua Livorno un film che abbraccia 4 decenni, raccontati attraverso la storia di una donna svampita ed ambiziosa (Micaela Ramazzotti), e dei suoi due figli, sballottati a lungo, con le conseguenze che si ripercuoteranno sulle loro esistenze. Da adulto Bruno (Valerio Mastandrea) è un insicuro professore d’italiano, precario nell’amore, emigrato volontariamente a Milano per scappare da quella Livorno che vede in maniera negativa; Valeria (Claudia Pandolfi) è invece sposata felicemente con figli. La famiglia si riunirà al capezzale della madre (Stefania Sandrelli), dove si riannoderanno molti fili, sulla base di continue reminiscenze, e dove soprattutto molte inattese novità verranno a galla.
Buone per le prove della Ramazzotti, ma soprattutto di Mastandrea, assolutamente in stato di grazia nell’interpretazione del solitario, apatico e frustrato professore milanese, vero fulcro della narrazione: da bambino cresciuto troppo in fretta ad infelice quarantenne che cerca l’appiglio nella droga, è Bruno la memoria storica della famiglia. Il film, candidato all’Oscar come “miglior film straniero” nel 2011, per quanto ben costruito, lascia l’amaro in bocca per un pessimismo di fondo che si protrae fino alla fine, tanto che nemmeno il salvifico finale è capace di edulcorare il pessimismo del protagonista, perché Bruno, il deus ex machina della storia, non sorriderà mai in camera.
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