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La prima cosa bella

Regia di Paolo Virzì vedi scheda film

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La recensione su La prima cosa bella

di OGM
8 stelle

Sì, ammettiamolo: questo, come Baarìa,  è il classico film italiano da esportazione, in cui noi ci dipingiamo come crediamo che gli altri ci vedano. Con un uso accorto degli stereotipi aduliamo gli amanti stranieri del nostro Paese, ma, in fondo, anche noi stessi, che, in cuor nostro, ci riteniamo piacenti, simpatici e un po’ furbacchioni. Ed è pur vero che, in questo tradizionale aspetto della cultura nazionale, il lirico e il pittoresco devono spesso fare  a pugni col caricaturale, avendo quasi sempre la peggio. Tuttavia, in Virzì come in Tornatore, questo gioco di specchi non è solo narcisismo travestito da comica: in entrambi i casi, il senso del tempo interviene, come un soffio vitale, a sollevare il bozzetto dal rude canovaccio, trasformandolo in una vaporosa elegia.  In questo modo i ritratti dei singoli tipi si animano di poesia, in quello spettacolo un po’ raffazzonato, però autentico, che si chiama memoria popolare. Il ricordo che ognuno di noi conserva, non della propria storia individuale, ma, complessivamente, di un’epoca, è un mix di singole suggestioni musicali, cromatiche, olfattive, che basta poco a richiamare alla mente: la ricostruzione degli anni settanta e ottanta realizzata da Virzì è, in effetti, un’ingenua collezione di spunti isolati, dai filobus verdi ai giacconi da paninari, che risvegliano la nostalgia come tante punture di spillo. Tanto è sufficiente a farci rituffare in un mare che pensavamo prosciugato e sepolto, e che, con i telefoni legati al filo e alla cornetta, ed i piccoli televisori dagli schermi bombati e vitrei, ci appariva così oscuro e dimesso se rapportato alle dinamiche luminescenze dell’era tecnologica. La prima cosa bella ha il merito di riportare, in questo grigio territorio, la luce e il colore della realtà. Nella storia di Anna, il confronto tra la donna giovane, esuberante e sempliciotta di quarant’anni fa e la signora distinta e consapevole di oggi, che pure affronta la malattia con incosciente spregiudicatezza, ci rammenta che la vita cambia le persone, però non rinnega mai stessa: l’esistenza è un filo che si srotola, ma, fino alla fine, rimane tutto intero, ed il passato è vivo ed è presente, per il semplice fatto che, in un certo momento, lo è stato.

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