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La prima cosa bella

Regia di Paolo Virzì vedi scheda film

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maurri 63

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La prima cosa bella

di maurri 63
2 stelle

No! No! Ogni volta che difendo a spada tratta il cinema italiano, poi pago. Ed eccomi punito dalla grande tela del cinema, dove, finalmente (?) riesco a vedere "La prima cosa bella". Ad onore del vero, sia io che gli spettatori della sala (tanti, troppi) stiamo ancora cercando di capire cosa era e cosa voleva significare la canzone del titolo. Anzi, per essere più precisi, "perchè la canzone del titolo". Mah. Veniamo al film: dopo aver partecipato ad un concorso di bellezza nel 1971, Anna Nigiatti Michelucci (?) (una massacrata Micaela Ramazzotti -mortificata da vestiti che non ne esaltano mai la bellezza -, rea solo di aver sposato Virzì, il regista (?)), si vede cacciare di casa (ma sarebbe meglio dire che è lei ad andarsene), per futili motivi di gelosia (e questo si scoprirà solo nel finalissimo, e che cavolo!). Va da una donna (una certa Leda, che tutti, fino alla fine del film, penseranno essere la sorella del marito, e solo alla fine scopriremo che anch'ella, invece, ne era innamorata) ma, senza un perchè, scappa in un albergo, finisce a fare la comparsa, poi lavora in un negozio che vende materiali per sub (accipicchia, anche nel 1971 li chiamavano infradito -! - ), poi segretaria in uno studio d'avvocato. Sono passati quaranta anni!!!! La donna in questione, che non è più la stessa attrice, ma una ancora piacente Stefania Sandrelli (una macchia nerissima per la sua carriera: no, non te lo perdoniamo!), petulante, ancora con l'aria adolescenziale, che snocciola sentenze (la figlia la vedrebbe bene con il datore di lavoro, altro che con il marito....ma chi le scrive 'ste schifezze?), sta morendo. Il figlio, Bruno (uno spaesato Valerio Mastandrea, costretto a parlare il livornese - ma sul finale gli torna la cadenza romanesca) torna, costretto dalla sorella Valeria (una scialba, maldiretta ed inconcludente Claudia Pandolfi, pronta a lacrimare, come tutti nel finale) nella città natìa, Livorno, appunto. Solo per maledirla, per verificare che nulla è cambiato, che il suo male (la depressione?, ma allora ci voleva più coraggio!) è colpa della madre, che può fare un bagno liberatorio nella (inquinate) acque toscane.... Tutta qui l'esilissima storiella di Virzì. Il primo, gravissimo errore di regia, è la scelta del cast: non avendo il coraggio di invecchiare la Ramazzotti (rispetto per la compagna?, onorevole) si affida alla Sandrelli, ma invecchia tutti gli altri personaggi della sua gioventù (su tutti è evidente il cattivo trucco di un Marco Messeri, fuori parte, nel ruolo dello spasimante di Anna, che dopo quaranta anni la impalmerà, prima di perderla), impone il toscano ad attori poco diligenti, non regola l'istrionismo debordante della nazionalStefania. Commette poi un secondo errore, non meno grave: inanella una serie poco credibile di colpi di scena : un figlio segreto - pronto a piangere sul letto di morte di una donna mai conosciuta... rinnegando così la sua coerenza di personaggio -, la ormai matura Valeria-ClaudiaPandolfi, all'ennesimo ruolo di malmaritata (Due Partite, no...?) che volta in pubblico le spalle al marito per abbracciare il suo amante (?, ma mica ce lo aveva annunciato, mah) ed il marito, ovvio, se ne va a casa senza dire nulla, ed un terzo imperdonabile frainteso: non trovando il coraggio di affrontare la malattia di Anna, come in una banalissima fiction televisiva, non ci risparmia nulla della sua morte. Visita al cimitero compresa, peraltro lunghissima. Del marito della sventurata ci dice poco, se non che dopo aver questi provato a riprendersi i figli, muore d'infarto. Ah, già, il pover'uomo (che faceva il carabiniere) aveva fatto in tempo a comprare una casa (negli anni 70, a Livorno...?), a convivere (?, ma neanche questo è chiaro) con la "zia" Leda, a levarsi di torno in fretta, insomma. Virzì voleva mostrarci una donna inesistente, sognatrice, appena un pò trasgressiva ma per questo spesso vittima di uomini pronti ad approfittarne (si pensi al laido giornalista che prova a farle fare la figurante in un film di Dino Risi....), additata da una città vecchia, provinciale, consumata dall'invidia per la sua bellezza. Ma non ci riesce: primo, perchè non sceglie di stare dalla sua parte ma di mostrarcela attraverso il giudizio (di condanna) e il ricordo del suo primogenito (ma come avrà fatto a laurearsi?), secondo, perchè non scioglie i nodi di una trama esilissima (come avrà campato negli ultimi quaranta anni Anna?....ai posteri la sentenza!) Tecnica con riprese stantìe e superate (dolly utilizzati a mò di volo d'uccello), carrellate lente, neppure un primo piano (sintesi estrema della virtù registica, invece). E questo perchè, pur senza riuscirci, prova a stare nei limiti della commedia (il marito della figlia fa il vigile urbano, così come il padre serviva l'Arma dei Carabinieri...), ma genera patetismo, come nella scena in cui la servitù (s)parla di Anna, invitata ad una festa di borghesi arricchiti a Castiglioncello, lasciando che i figli ascoltino tutto. Tra l'altro, i due giovanotti, ormai sedicenni, vengono trattati dal regista come marionette (al funerale del padre, vanno via con la madre, dopo che la donna ha depredato il marito defunto dell'orologio e della collanina). Qual è il messaggio di questo film? Nessuno. Perchè dovremmo amare questi personaggi? Il regista non riesce a commuoverci, a spiegare le ragioni di un malessere più profondo di quanto appaia, sceglie sempre la soluzione più facile: far piangere gli attori. E, come diceva Fritz Lang: se fai piangere gli attori, non puoi pretendere che anche il pubblico pianga. Certo, Virzì aveva già detto tutto con Caterina va in città, qui non ha un'idea che sia una (ma lo sceneggiatore casertano (!), Francesco Piccolo, che aveva già data cattiva prova di sè nel suo libro-raccolta di racconti "Primogeniti e figli unici" non lo aiuta), ma, almeno, poteva lavorare sui caratteri secondari, lasciati invece a debordare (e poi come faranno i nipoti a conoscere lo zio professore se non lo vedono da anni? come avrà giustificato la sua partenza da Milano, dove insegna, il buon professore Mastandrea?). Al termine della proiezione mi volto: i quattrocento e più spettatori, arrabbiati, molti di essi annoiati, delusi, qualcuno dormiente, rivolevano i soldi del biglietto indietro. Non avevano torto. E, per evitare parapiglia, il proiezionista ha tagliato la visione dei titoli di coda, arrestandosi al settimo nome. Per la prima volta, mi è venuto un profondo dispiacere per il cinema, in senso lato. Sì. la delusione è stata profondissima. Il più brutto film dell'anno. Ps: mi dicono che è candidato ai David di Donatello.... 

Sulla trama

Un professore quarantacinquenne torna per assistere la madre morente a Livorno, città natìa, dove non mette piede da vent'anni. Ma, legando i suoi ricordi alla donna, non riesce a rinnegarne il passato da ragazza spregiudicata. Proverà a perdonarla, in compagnia della sorella, sul letto di morte.

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