Regia di Paolo Virzì vedi scheda film
Nella Livorno dei primi anni '70 Anna (Ramazzotti) è una mamma bella, esuberante e piena di vita, ma anche frivola e forse un po' ninfomane. Ha due figli piccoli: Bruno, il maggiore, se ne vergogna, mentre la minore la venera. Quarant'anni più tardi quella stessa madre (che nel frattempo ha assunto le sembianze di Stefania Sandrelli, con scelta in felicissima quanto a possibili somiglianze) ha conservato frivolezza e un'indomita voglia di vivere, nonostante si trovi ricoverata nel reparto per malati terminali di un ospedale. Per Bruno (Mastandrea) - una vita irrisolta proprio a causa dei tormenti scatenati dalla madre - è l'occasione per rivedere la donna e fare i conti con il proprio passato.
Nello stesso periodo in cui Tornatore firma Baaria e Rubini L'uomo nero, anche Virzì torna alle origini della propria provincia con risultati indubbiamente meno sconsolanti di quelli ottenuti dai due colleghi. Il suo personale amarcord si sviluppa interamente entro le dinamiche famigliari, in un'oscillazione continua di flashback e flashforward, lasciando la Storia fuori dalla storia. È il consueto cinema "due camere e cucina" esile esile, piuttosto concitato, dichiaratamente naziona-popolare (a partire dal titolo, un successo sanremese di Nicola Di Bari) che nulla aggiunge sul piano dei contenuti. I meriti maggiori vanno agli attori, Mastandrea in testa con la sua credibilissima calata toscana, e al casting.
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