Regia di Jim Sheridan vedi scheda film
Come ogni remake/fotocopia, il film già parte orbato di eventuali meriti ascrivibili alla sceneggiatura: pertanto, che si tratti di una bella storia, va dato atto al duo danese Anders Thomas Jensen/Susanne Bier, che avevano già firmato da autori (e la Bier anche come regista, con lo zampino della Zentropa di Lars Von Trier) il precedente “Brothers” del 2004, qui giunto con l’assurdo titolo “Non desiderare la donna d’altri”. E quando qualcuno si prende la briga di voler rifare paro paro un film già visto da poco, a mio avviso dovrebbe metterci qualcosa di nuovo, o perlomeno di suo. Qui, di suo, il tenente Sheridan, oltre che ingolfare inutilmente i motori di ricerca per film che contengano la parola “Brothers”, ci mette Redetoby Maguire, che, occhioni sgranati, volto emaciato e con l’acconciatura alla marinara, spunta da quel colletto della camicia come in un fumetto horror delllo zio Tibia. Probabilmente la prolungata cura a base di ragnatele non gli ha giovato troppo. Poi ci aggiunge i ciglioni alla Elio (delle storie tese) di Jyllenhaal, uno dei tanti disponibili sugli scaffali degli studios, e così facendo ricrea (crede di ricreare) la coppia di Brothers in salsa danese. Meno male che azzecca la Portman, e non solo come attrice: l’angolo di visuale della vicenda è infatti costantemente timonato dai begli occhi della giovane attrice israeliana (unico pregio di questo film), e ci mette un Sam Sheppard all’altezza del suo appeal granitico. Azzecca anche le due bambine, in particolare Isabel, la maggiore, davvero una (piccola) prova di (grande e) rara bravura, se di “bravura” si può già parlare per la piccola Bailee Madison. Per il resto, soltanto comparare la scena del commilitonicidio in terra d’Afghanistan (allora era l’Iraq) rende l’abissale differenza tra il film originale e questa inutilissima e mediocre fotocopia.
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