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Carriers - Contagio letale

Regia di Àlex Pastor, David Pastor vedi scheda film

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La recensione su Carriers - Contagio letale

di alan smithee
4 stelle

L’ansia del contagio, l’adrenalina della sopravvivenza, il dubbio di essere “portatori” di un virus implacabile e senza via d’uscita, che non da' scampo ma che ti trascina verso un'agonia senza fine. Ci sono poche altre paure piu’ angosciose di questa,  pochi altri incubi cosi' devastanti ed apocalittici, e il cinema si e’ sempre preso molta cura di argomenti cosi’ coinvolgenti e terrificanti, forse perche' in fondo a molti spettatori affrontare visivamente un dramma cosi' devastante conferisce sicurezza, appassiona ed aiuta ad esorcizzare paure minori, problematiche al confronto piu' futili e passeggere.
Di recente basti ricordare al riguardo l'inquietante e tutto sommato riuscito Cabin Fever dell'ormai celebre Eli Roth, o il fin troppo calcolato "Contagion" di un sempre piu' ecclettico Soderbergh, l'autoriale "The road" tratto dal capolavoro premio Pulizer omonimo di Corman McCarthy, o, senza scomodare i grandi autori, solo qualche anno prima, un tosto e scatenato Dustin Hoffmanin stile Rambo tascabile nel commerciale blockbuster “Virus letale”.
Ma dove in realta' la rappresentazione di una pandemia incontrollata fece piu’ scalpore, terrore ed ansia fu secondo me nella notevole, epocale opera televisiva inglese anni ’70 “I sopravvissuti”, serial inglese del '75 dove senza il minimo effetto speciale si analizzavano non tanto i fenomeni fisico-metamorfici di una distruzione senza precedenti (che invece molto cinema di genere esalta e ne fa il proprio punto di forza per impressionare ed attrarre pubblico), quanto l’evolversi del comportamento umano di fronte ad un evento che fa sprofondare l’umanita’ nel buio piu’ cupo della propria genesi: un ritorno nella societa’ della pura sussistenza dove gruppi di persone si uniscono per sopravvivere a scapito di altre, per sopraffarne altre, proprio quando le risorse piu’ facilmente reperibili di una societa’ gia’ allora consumistica, cominciavano a scarseggiare in seguito al contagio e i sopravvissuti si trovano ad affrontare a mani nude l’ambiente tornato primordiale, i suoi elementi, che lui stesso non ricordava piu’ quanto fossero inaccessibili in natura.
Carriers e’ invece solo un filmetto di puro intrattenimento, nulla piu’, purtroppo o per fortuna; cerca in tutti i modi ma vanamente di rendere plausibile come due fratelli con le rispettive fidanzate possano trovare il coraggio di affrontare una fuga da un mondo infettato da un micidiale virus, portandosi dietro due tavole da surf per far ritorno nel luogo paradisiaco delle vacanze estive dell’infanzia nel Golfo del Messico.
Cosa possa spingere a credere 'sti creduloni ed infantili americani che in Messico ci siano sempre delle possibilita’ di fuga o comunque la possibilita' di farla franca e’ a tutti gli effetti un mistero o ormai un luogo comune inaccettabile.
Come rendere plausibile che, dopo mille vicissitudini anche molto drammatiche e talvolta cariche di tensione, i quattro riescano a trovare la forza di giocare a golf presso il campo di un resort abbandonato (ma non troppo…) e’ un altro mistero che evidentemente gli sceneggiatori americani coinvolti non si sono posti.
Resta certo qualche sprazzo interessante nel rapporto tra fratelli (reso questo con molta improbabilita’ da un Pucci & Pine che piu’ diversi non si puo’, altro che fratelli), nel considerare in particolare  come varia il rapporto umano, quello degli affetti anche piu' intimi dell'amore e della parentela, di fronte al pericolo e all’ansia del contagio; e ancora di come evolvono i sentimenti di coppia apparentemente inossidabili quando ci si rende conto che il proprio consorte non e’ piu’ sano e potrebbe infettarti da un momento all’altro.
E se tra gli interpreti il giovane emergente Lou Taylor Pucci ha un viso interessante, un appropriata gamma espressiva che rende in modo interessante lo stato di angoscia totale di chi sa che ormai le probabilita’ di fuga si fanno complesse, il resto del quartetto non si discosta dal solito stampino approssimativo di una gioventu’ americana condannata al macello, intorno ad una pellicola che, proprio perche’ facente parte di un filone cosi’ sfruttato, non riesce ad aggiungere molto di nuovo, plausibile ed interessante che non sia gia’ stato mostrato o detto altrove, spesso in modo piu' convincente.

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