Regia di Àlex Pastor, David Pastor vedi scheda film
Bel film. Girato bene, bene i dialoghi, buoni gli attori. Un film che ti lascia addosso un senso di disagio.
Sono molti gli aspetti interessanti e pregevoli della scrittura e del modo di filmare dei fratelli Alex e David Pastor, che mettono in scena una riuscita apocalissi minimalista, nella quale non troverete orde di zombi infetti pronti a cibarsi della vostra carne né carri armati e bulldozer del governo pronti a devastare le masse dei malati o altre amenità del genere.
Scoprirete invece quattro ragazzi in gita, pronti a scherzare e scazzare nei pochi momenti/spazi ancora liberi che l'onnipresente germe concede loro. Troverete piccole e grandi morti agghiaccianti e un senso di perdita e di solitudine che lascia l'amaro in bocca per giorni e giorni.
L’apocalisse pandemica non si manifesta con giganteschi ingorghi di macchine piene di cadaveri mummificati (una delle immagini che da sempre trovo totalmente assurda e detestabile) ripresa con lente carrellate in plongée, bensì con la metodica routine che vede i nostri disinfettare ogni superficie con la candeggina e cercare di recuperare ogni goccia di benzina possibile.
E il post apocalisse non viene dipinto con il fanciullesco formarsi dei due schieramenti del Bene e del Male, ognuno con i suoi Re, Regine, Alfieri e pedoni, così tipico di certo manicheismo facilone, bensì con un costante shift morale dettato dalla regola unica: la sopravvivenza.
Non affannatevi a cercare i buoni e i cattivi in Carriers: Chris Pine non è un giovane cavaliere e fra i tizi nascosti sotto le tute da contenimento biologico si nasconde un mix verosimile di stronzi, gente pietosa e opportunisti qualsiasi.
C’è poco “orrore” in questa surfapocalypse, così solare e torrida, sbiancata e in(t)orridita dall'ottima fotografia di un sempre più horror-importante Benoît Debie, ma quando questo spunta lascia ferite insanabili.
Insanabile è il corpo di una persona divorato dal suo stesso cane.
Insanabile il cibo così a lungo sognato che si rivela una brulicante massa di insetti.
Insanabile il rapporto fra le persone quando in mezzo ci si mette il virale terzo incomodo.
E sotto il segno, appunto, di questa impossibilità di recupero (di umanità, di beni materiali, di luoghi mentali e fisici) questo incerto viaggio on the road prosegue lungo tappe che abbiamo sicuramente già visto migliaia di volte ma in pochissimi casi rappresentate con tale efficacia. Siamo lì quando un padre perde la figlia, lì quando qualcuno scopre di essere infetto, lì quando si cerca fuga psicofisica persino in una dinosaurjriana partita a golf: lì ovunque e sempre.
Ciò avviene grazie allo stile sobrio e diretto di questi due fratellini spagnoli che indovinano appunto la scelta del minimalismo, dell’evitare parecchi dei luoghi comuni del genere e giocano tutto sull'inner space, sul nemico e sul mostro che siamo noi, sulla difficoltà/impossibilità di qualsiasi vero contatto contrapposte alla facilità di contrarre la malattia al minimo di questi contatti.
E questo anche grazie a un cast impressionante nei due protagonisti maschili.
Chris Pine è bravissimo a interpretare il cazzone piacione, il fratello maggiore ignorante e cocky, svelto a decidere anche quando si trova nei coni di eclisse morale. Dotato di ottime capacità fisiche, recita molto bene anche indossando una mascherina per buona parte delle scene e ha un timbro vocale che dispiace perdere in doppiaggio.
A fare da sparring partner e antimateria, sia materiale che spirituale, è il fratello minore Lou Taylor Pucci, già visto in Southland Tales - Così finisce il mondo (e purtroppo anche in The Horsemen), gracile, titubante e destinato, ovviamente, a giocare un ruolo ben diverso prima della fine del film. Ottima prova anche per lui.
Buono anche il cast di contorno (quel poco che esiste, perlomeno) e i vari dati tecnici, fra i quali spiccano le azzeccate scenografie naturali regalate da Texas e New Mexico.
La pellicola è un’apocalissi tascabile solidissima, asciugata di ogni possibile fronzolo o derivazione e che illustra con gran forza quanto sia narrativamente più proficuo e interessante il saper mischiare le carte morali dei vari personaggi piuttosto che distribuire due mani di colore opposto e farle poi scontrare.
Finale, una volta tanto, di incredibile spessore e valore.
Carriers: consigliato a viva voce.
Recensione originale apparsa il 27/12/2009 su Malpertuis, il blog ufficiale di Elvezio Sciallis
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