Regia di Abel Ferrara vedi scheda film
Un ritorno – se mai se ne fosse allontanato – al punto da cui era partito, lui insieme al suo sguardo dentro l’obbiettivo. Questo è Napoli Napoli Napoli, la docufiction che Abel Ferrara - il cattivo tenente del cinema americano – ha intessuto intorno alla città partenopea, equivalente italiano del Bronx newyorkese in cui è cresciuto, nonché prima attrice della pellicola. A partire già dal titolo. Le fa concorrenza solo la violenza, che dilaga in tutti i (non) luoghi esplorati, da Scampia ai Quartieri Spagnoli, dal Parco del Vesuvio alle celle del carcere femminile di Pozzuoli, all’interno del quale è nato l’intero progetto. È da qui, infatti, che si dipanano le tre storie di fiction (inserite in un contesto documentaristico) che sorreggono la struttura narrativa del film, presentato a Venezia 2009 e fortemente voluto da Gaetano Di Vaio, ex microcriminale impegnato da tempo nel recupero dei ragazzi di strada. In una sorta di ragionamento post Gomorra, meno rigoroso ma comunque efficace, ci si può azzardare persino a chiedersi se Napoli sia ancora «un buon posto per vivere», facendo eco a una pietra già scagliata da Giorgio Bocca secondo cui «nascere lì è una sfortuna». Una domanda questa, che chi, meglio di Ferrara, cantore delle metropoli in metastasi, avrebbe potuto porsi e mettere in scena?
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