Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
Dal profondo della notte che mi avvolge,
buia come il pozzo più profondo che va da un polo all'altro,
ringrazio gli dei qualunque essi siano
per l'indomabile anima mia.
Nella feroce morsa delle circostanze
non mi sono tirato indietro né ho gridato per l'angoscia.
Sotto i colpi d'ascia della sorte
il mio capo è sanguinante, ma indomito.
Oltre questo luogo di collera e lacrime
incombe solo l'Orrore delle ombre,
eppure la minaccia degli anni
mi trova, e mi troverà, senza paura.
Non importa quanto sia stretta la porta,
quanto piena di castighi la vita,
io sono il padrone del mio destino:
io sono il capitano della mia anima.
[William Ernest Henley - Invictus - 1875]
"Voi mi avete eletto vostra guida: lasciatevi guidare, ora".
[Morgan Freeman]
Sud Africa, 11 febbraio 1990: è il giorno della liberazione di Nelson Mandela (Morgan Freeman), scarcerato su ordine del presidente De Klerk dopo quasi trent'anni di reclusione. Il corteo di automobili che lo sta scortando in città attraversa la strada su cui si affaccia il campo di allenamento degli Springboks, la nazionale sudafricana di rugby. Mentre in un campetto di fronte i ragazzini neri interrompono una partita di calcio per salutare il passaggio di Mandela inneggiandone il suo nome, l'allenatore afrikaaner della nazionale commenta con i suoi ragazzi: "È quel terrorista, Mandela: l'hanno scarcerato. Ricordate questo giorno, ragazzi, è il giorno che il nostro Paese va in pasto ai cani". I telegiornali, invece, sottolineano l'importanza storica dell'evento: "Mandela è un uomo libero, che muove i primi passi verso un nuovo Sud Africa: questo è il momento che il mondo stava aspettando". Eletto presidente nel 1994 ("Dopo quattro anni di negoziati, il giorno per cui i sudafricani neri hanno tanto lottato è finalmente arrivato: per la prima volta essi sono liberi di esprimere il loro voto al fianco dei bianchi. Si stima che oggi si siano recati alle urne 23 milioni di persone"), Madiba (ovvero "Nome di Dio", titolo onorifico degli avi della sua famiglia) deve occuparsi adesso, come sottolinea nel suo discorso d'insediamento a Pretoria ("Mai e poi mai succederà ancora che questa bellissima terra possa conoscere l'oppressione di una parte sull'altra e subire l'oltraggio di essere lo sconcio del mondo"), di scongiurare i rischi di una sanguinosa guerra civile, alimentati dall'escalation delle tensioni razziali e dallo spettro dell'apartheid, dalla crisi economica, dalle sperequazioni sociali, dalla disoccupazione e dall'aumento della criminalità, "conciliando le aspirazioni dei neri con le paure dei bianchi". L'integrazione inizia già dal suo staff, tra le cui fila gli uomini della scorta presidenziale, coordinati da Jason Tshabalala (Tony Kgoroge) e dal suo vice Linga (Patrick Mofokeng), devono accogliere il capitano Feyder (Julian Lewis Jones) e la sua squadra, tutti bianchi e già al servizio di De Klerk ("Quando la gente mi vede in pubblico, vede le mie guardie del corpo. Voi mi rappresentate direttamente: la nazione-arcobaleno comincia qui"). L'arma decisiva per vincere la sua battaglia è il perdono, perchè "il perdono libera l'anima e cancella la paura". E c'è un simbolo in grado di unificare le due anime della nazione: lo sport, il rugby, incarnato dalle divise verde-oro degli Springboks, che, per la popolazione nera (e il National Sports Council che vorrebbe destituirli) rappresentano ancora l'apartheid, lanciati con molte apprensioni e risultati tutt'altro che esaltanti nell'organizzazione dei prossimi campionati mondiali del 1995 ("Questo non è il momento di consumare meschine vendette, è il momento di costruire questa nazione, usando ogni singolo mattone a nostra disposizione, anche se quel mattone è avvolto in colori verde-oro"). Il loro capitano è François Pienaar (Matt Damon) e Mandela, dopo che la Federazione ha esonerato coach e manager della squadra, lo convoca per illustrargli i suoi desideri: vuole la vittoria, affinchè serva da ispirazione a tutto il Paese per una ricostruzione che superi ogni aspettativa. Pienaar, scosso dalle parole del presidente, prende per mano i propri compagni e, tra allenamenti massacranti, visite tra i bambini degli slums e alla prigione di Robben Island, riesce a cementare lo spirito di gruppo della squadra. Dal match d'esordio con l'Australia fino alla sfida in finale all'Ellis Park di Johannesburg con gli All Blacks, l'invincibile nazionale neozelandese del leggendario Jonah Lomu (Zak Feaunati), gli Springboks di Pienaar, di Chester Williams (McNeil Hendricks, che interpreta anche uno dei giocatori della nazionale samoana), l'unico giocatore nero in formazione (e prima di vederne schierati due bisognaerà attendere addirittura il 2007), di Joel Stransky (Scott Eastwood, figlio di Clint), l'autore del drop decisivo (15-12) durante i tempi supplementari, di "Os" Du Randt, leggenda del rugby sudafricano (si ritirò nel 1999 per poi tornare in squadra nel 2004 e diventare ancora campione del mondo nel 2007), di Joost Van Der Westhuizen, detentore (fino al suo ritiro) del record di presenze e mete segnate in nazionale, entrano nella storia con un'impresa trionfale ed esaltante. E sarà, finalmente, "One Team, One Nation".
Scritto dallo sceneggiatore sudafricano Anthony Peckham (Don't Say a Word e Sherlock Holmes tra i suoi script), che adatta il romanzo Playing the Enemy: Nelson Mandela and the Game that Made a Nation (2008) del giornalista John Carlin (pubblicato in Italia col titolo Ama il tuo nemico), Invictus, trentesimo lungometraggio diretto da Clint Eastwood e suggestiva commistione tra biopic sui generis e cinema sportivo, consegna agli annali un ritratto appassionato e incisivo del premier sudafricano affidandone l'interpretazione a un monumentale Morgan Freeman, che da anni sperava di impersonarne il ruolo: senza sentimentalismi patetici o cadute nell'agiografia, ma soltanto con la lungimiranza e la serenità di sguardo del cineasta di razza, sfiorando spesso la commozione, Eastwood si concentra sull'impresa sportiva degli Springboks per esaltare la purezza del messaggio rivoluzionario di Mandela e restituirne la metaforica essenzialità. Nessuna vendetta, quindi, soltanto il perdono: una lezione di vita, di storia, di progresso umano e crescita interiore, capace di scuotere coscienze e sollecitare orgogli, come quelli dei giocatori di una squadra di rugby e in cui Madiba ("Non è un santo, è un uomo. Con i problemi di un uomo") viene ritratto nella quotidianità di gesti e abitudini (le passeggiate mattutine, i solitari pasti casalinghi) o nell'esercizio dell'attività politica, tra viaggi internazionali e conferenze. Incorniciato dalla splendida fotografia di Tom Stern e contrappuntato dalle affascinanti melodie corali e dai canti popolari della colonna sonora (tra lo score ufficiale curato da Kyle Eastwood e Michael Stevens e i brani affidati al gruppo vocale sudafricano degli Overtone, che eseguono insieme a Yollandi Nortjie la meravigliosa Osiyeza), Invictus costituisce uno spettacolo riuscito e coivolgente: nonostante qualche evidente sbavatura (la retorica, che affiora oltre la soglia di guardia soprattutto durante la lunga sequenza della partita finale), infatti, il film regala alcuni tra i momenti più esaltanti del cinema eastwoodiano degli ultimi anni, dallo splendido incipit del film all'irruzione di Mandela all'assemblea del comitato esecutivo del National Sports Council, dalla visita "promozionale" a sorpresa degli Springboks tra i bambini degli slums a quella, accompagnati da mogli e fidanzate, al carcere di Robben Island, con Pienaar che entra nella cella di Mandela e ne misura le dimensioni allargando le braccia ("Come si fa a passare trent'anni in una piccola cella e uscirne pronto a perdonare chi ti ci ha rinchiuso?"), fino ai titoli di coda, su cui scorrono le fotografie dei vari campioni sudafricani, immortalati in azione durante le fasi della loro travolgente corsa verso il titolo mondiale. Da vedere rigorosamente in versione originale, almeno si eviteranno sorrisi e disappunto ascoltando Matt Damon, durante la finale dei campionati mondiali (quindi non di certo in una partitella), incitare i propri compagni urlando "Qual è la squadra più in forma in campo?": proprio una delle tipiche frasi che tutti i giocatori si rivolgono in quei frangenti...
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