Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
Nell’ingrato ufficio della biografia filmata, la maggior parte dei registi si cimenta in una narrazione cronologica e cronachistica degli eventi storici, che affonda qualsiasi biopic nella didascalia scolastica. Eastwood, al contrario, opta per il racconto di un episodio significativo della vita di un personaggio storico che sappia ergersi ad emblema dell’intera esistenza. Ed è così che il passato dell’apartheid, il presente della competizione sportiva e il futuro della democrazia si rivelano insieme in Invictus, illuminando significativamente di riflesso il deus ex machina della dignità e dell’orgoglio sudafricani: Nelson Mandela.
Nel raccontare una vicenda apparentemente marginale come la vittoria ai mondiali di rugby della squadra sudafricana all’indomani della vittoria elettorale e della nomina di Mandela a presidente di tutti i sudafricani, neri e bianchi, Eastwood condensa la storia di un uomo e di un paese all’interno di una competizione sportiva, mostra la politica che si fa strategia democratica sfruttando il tifo sportivo, racconta il successivo equilibrio pacifico tra minoranza bianca e maggioranza di colore con l’esaltazione dell’adrenalina per la suspense di un risultato sul campo da gioco. Il film non trasforma il rugby in metafora ma in emblema di una riconciliazione, nella registrazione di una vittoria agonistica che diventa esistenziale e politica. Con la macchina da presa ad altezza d’uomo, sul campo e nelle stanze del potere, Clint racconta la sfida e la vittoria di un uomo e di un paese senza retorica ma nell’euforia di un happy end, in fondo, impronosticabile, con la stessa sorniona sobrietà con cui Freeman incarna il Presidente. Senza fare un’agiografia ma accennando senza pudori ai difetti dell’uomo, Eastwood ritrae la solitudine del potere, dopo l’isolamento della prigionia, e la lucidità della prospettiva unitaria, il lavorio sulla coscienza collettiva di una nazione per forgiarne l’unità sposando il punto di vista del demiurgo del Sudafrica moderno mostrato mentre crea le condizioni per la democrazia.
Ancora una volta è la storia di una famiglia che narra Eastwood, di una comunanza che prescinde dai rapporti di parentela che, qui, si allarga a tutto un popolo; ed è, di nuovo, una vicenda di incomunicabilità superata ad essere raccontata, con tutto il suo retaggio di incomprensioni e traumi che potrebbe esplodere ma, al contrario, si appiana nel reciproco rispetto e, infine, in una nuova forma d’affetto.
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