Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
Quella degli Springboks, la nazionale sudafricana di rugby, alla Coppa del mondo del 1995 è una fiaba che non poteva passare inosservata e non lasciare curiosità ed interesse in Eastwood. Sembra infatti, ridotta in piccolo e adeguata alla realtà, la storia della donna pugile di Million dollar baby, che senza grandi speranze, ma con cuore, testa e affetto del pubblico porta avanti il proprio sogno fino a risultare vittoriosa. E se la vittoria dell'atleta di quel film significava anche il trionfo di una fascia sociale povera, qui il trionfo degli Springboks è fin dall'inizio palesato da Mandela come grande passo avanti per la pace e l'unificazione del Sudafrica. Ottima scelta per il duo di protagonisti, Freeman e Damon, buon lavoro di sceneggiatura (firmata Anthony Pecham), che però, pur solida e compatta, rischia in due ore e un quarto di risultare eccessivamente dispersiva - si veda la mezzora finale in cui praticamente ci sono solo scene di gioco ininterrotte. La forza di volontà, la pace, la solidarietà fra i popoli, l'importanza dello sport come momento di aggregazione e unità, l'impegno concreto, il sogno: un insieme di messaggi facilmente identificabili per il pubblico americano; era un film che Eastwood avrebbe comunque fatto, al di là della scelta del soggetto. Ciononostante, è per il valore aggiunto di tributo ad un uomo simbolo di pace come Mandela che questo lavoro ha una propria identità e dignità. 6/10.
1995. Nelson Mandela, primo uomo di colore capo di Stato sudafricano, simbolo della battaglia contro l'apartheid, improvvisamente comincia ad occuparsi di rugby. Il motivo è semplice: vuole che la nazionale vinca il prossimo campionato mondiale, che il Sudafrica ospita, per poter dare una spinta all'unificazione del Paese. E vittoria, ovviamente sudata sul campo, sarà.
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