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Invictus. L'invincibile

Regia di Clint Eastwood vedi scheda film

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La recensione su Invictus. L'invincibile

di pazuzu
8 stelle

Invictus è un film edificante incentrato su una storia edificante. Ha, indubbiamente, un carico non indifferente di retorica, ma trattasi della retorica di un uomo, Nelson Mandela, che ha saputo tradurre le parole in fatti: un rivoluzionario vero. L'operazione di Eastwood è sicuramente in grado di toccare corde giuste e soprattutto facili, ma non è un'operazione furba, piuttosto è sentita, sincera, è tappa fondamentale del percorso di un regista che da sempre fa del rigore il suo punto di forza. Il rigore formale della messinscena, l'innata capacità di avvolgere ogni fotogramma nell'aureo manto del cinema classico. E il rigore morale di un personaggio magnetico ed umanamente immenso (seppur non perfetto: Mandela i suoi difetti li ha, e li paga nella sfera dei rapporti privati), cinematograficamente affascinante ma al contempo pericoloso perché, inducendo il pubblico all'immediata identificazione, porta molti a giudicare la pellicola calcolata, agiografica, o eccessivamente melensa. Ma Eastwood sfugge sontuosamente a questa trappola per merito del tocco leggero, dello stile secco e di una sceneggiatura semplice ma concreta. Al grande regista statunitense, in fondo, la storia raccontata interessa fino a un certo punto, e gli interessa poco anche sviscerare la lunga evoluzione politica di Mandela e del suo Sudafrica. Ad interessargli davvero sono l'Uomo Mandela e l'irresistibile seduttività della sua mente e delle sue idee. Per questo Invictus non è un film sportivo, o almeno lo è solo incidentalmente. E' piuttosto un film epico, che racconta le gesta di un eroe dei nostri giorni, un uomo capace di passare 27 anni in galera durante l'apartheid e di uscirne senza meditare alcuna vendetta ma predicando pace e fratellanza, un uomo che ha saputo conquistare le masse inneggiando al pacifismo e all'unificazione, un uomo in grado di unire un popolo al grido di "Prendete i vostri coltelli i vostri fucili e i vostri machete e gettateli nell'oceano". Eastwood per buona parte del film incolla la camera da presa su uno strepitoso Morgan Freeman, che nei panni di Madiba si cala con perfezione mimetica, concentrando l'attenzione sui suoi gesti quotidiani, sui pensieri sempre rivolti alla causa più importante, sul magnetismo, sul senso etico e sul coraggio con cui, incurante dell'impopolarità delle proprie scelte, in meno di un anno riesce a trasformare il rubgy da simbolo dell'apartheid ad emblema della ritrovata unità della nazione, superando con la forza delle proprie idee le opposizioni degli uni e le perplessità degli altri. Il tutto presentato in una confezione formale di rara eleganza e semplicità alla quale si può perdonare la caratterizzazione stereotipata di qualche personaggio e un paio di forzature nella parte finale.

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