Regia di Francesco Maselli vedi scheda film
Nome di battaglia, Citto Maselli. Sembra voler proprio combattere una guerra, il vecchio Citto. Una guerra contro tutto e tutti volta alla conquista di una sola cosa: un mondo migliore, perché quello che c’è ora non va, non va proprio. Non va perché i giovani sono strumentalizzati ed usati dai soliti vecchi. Quei vecchi che non si rassegnano e che non ci pensano minimamente ad andare in pensione. Più che persone, oramai, sono ombre, perché rappresentano un qualcosa che non c’è: rappresentano, quei vecchi, la sinistra allo sbando di questo Paese. La sinistra del salotto che parla attraverso i giornali.
Citto Maselli sa perfettamente di farne parte, però si schiera con i giovani del centro sociale, perché è più trendy. C’avrà qualche sassolino da togliersi, poi, se scrive personaggi del genere: anche il più idiota degli spettatori si accorgerebbe che dietro la figura di Sergio Siniscalchi c’è un mix di Alberto Asor Rosa ed Umberto Eco, che Varga è la sfacciata caricatura dell’archistar Massimiliano Fucksas, che la giornalista Vanessa è il corpo e il volto di Rossana Rossanda e la curriculum di Piero Sansonetti, che il vecchio sindacalista altri non è che il compianto Vittorio Foa.
Il film ha una storia assurda che si regge su uno spunto cretino: un intellettualone di sinistra che spara una stupidaggine sulle case della cultura in uno sperduto centro sociale pieno di poveri cristi finendo sulle prime pagine di tutta Europa (perché? Non si sa, e Maselli dice di non farsi troppe domande: vabbè), provocando così una sorta di mobilitazione culturale in nome… in nome di che? Della cultura. Della sinistra che non c’è. Ma no. Non regge. Ah sì: per vincere le elezioni, come dice Vanessa (con le esse della Rossana). Quindi alla fine tutto ciò si fa contro l’innominabile esse.bi, solo che citarlo non va bene. È un apologo, una favola, una metafora. D’accordo su tutto. Il film c'è. Ma non c’ha né capo né coda.
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