Regia di Francesca Comencini vedi scheda film
Maria (Margherita Buy) gode di un appartamento con una splendida terrazza. Lì trascorre in solitario le serate. Sullo sfondo, una Napoli rumorosa e accattivante insieme. In questo modo cerca di esaltare quel tempo decelerato, difficile da sopportare, perché la sua bambina è nata prematura, dopo appena 6 mesi di gestazione, ed è costretta all’interno di un’incubatrice, dentro quell’ambiente asettico che ogni tanto la madre si permette di violare infilando le dita, a toccare quel piccolo essere umano in balia dei macchinari medici.
Maria vive una specie di blocco inerte e si chiama “fuori dal mondo”, ancora una volta per un neonato, come già nel film di Piccioni. Non riesce a domare la smania di non sapere il futuro che l’attende, in bilico tra una vita normale di mamma o una tragedia di un lutto crudele, che divora anche il senso dell’Io.
È la solidarietà quasi inconscia dei napoletani e delle loro enigmatiche incoerenze a creare una sorta di placenta protettiva nei confronti di Maria, a salvarla dai rituali del cinema pomeridiano, a lenire il sapore agre delle sigarette, e delle noci come unico piatto delle cene appartate. La varia umanità di madri, amiche e colleghi di lavoro, si adopera affinchè lei possa aprire gli occhi e notare le formiche che girano per casa, così come la prole altrui che sulle prima sembra essergli sempre troppo fastidiosa.
La donna è giunta in una fase “avanzata” della vita, oltre la soglia di quei 40 anni che misurano spietatamente il tempo passato. Il suo è un universo difficile da riempire senza farsi travolgere dalle nevrosi, e in questo aspetto sappiamo che la Buy è un’attrice particolarmente conforme. In questa occasione, tuttavia, l’interprete romana si spoglia dei panni troppo pesanti dei tic e delle parole urlate, e si concilia in un ruolo adorno di sfumature romantiche e lievemente ironiche.
Complimenti al lavoro registico di Francesca Comencini: così impercettibile e tenera di fronte a un argomento poco approfondito dal cinema, eppure altrettanto determinata a fare di una piccola storia un racconto universale e attuale, lanciata verso un’idea di famiglia non del tutto omologata e pertanto sguardo incisivo e libero, anche dai “promessi sposi”. Si permette due o tre sequenze tra l’allucinato e il musicale, come se si fosse sciolta in un’esenzione artistica del tutto naturale, e viene soccorsa da un montaggio che ci consegna un significato pertinente al soggetto.
Spazio candido, concreto e allo stesso modo astratto, quello “bianco” è un periodo temporale necessario per (ri)cominciare a respirare.
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Rendi splenditamente chiara l'onesta bontà di questo film. I miei complimenti, e un saluto.
Ciao Peppe, grazie.
Ero come al solito (quando si tratta di film italiani) un po' prevenuto. Devo dire che sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla benevolenza che il film trasmette.
Complimenti per la tua lettura attenta di questo film magnifico. Conosco lo stato dell'attesa e dell'amore per una creatura in cui la vita è sospesa, è una zona di uno strano congelamento interiore agente d'estremo dolore .
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