Regia di Steve Clark vedi scheda film
Abbastanza personale da coinvolgere, ma non sufficientemente coraggioso da sprofondare completamente nel dramma interiore del suo protagonista, e mostrarci la sua discesa nell'inferno della "perdita di sè"(come ad esempio ha fatto McQueen in Shame), il film di Steve Clark spreca una buona occasione: l'idea di base era interessante, come anche la svolta finale(amara ma sensata), e gli attori erano al di sopra della media di un film a basso costo.
Tuttavia, quella "crisi esistenziale" di cui parla la piccola amica del protagonista, e che porta Jack Frost a degenerare nell'abuso di droghe e sesso(ma riguardo a quest'ultimo, è relegato al passato, e rimane un "intuizione" dello spettatore davanti alla scena iniziale, o a quanto dicono i co-protagonisti) è soltanto colto, non vissuto: lo spettatore non percepisce mai un coinvolgimento completo, e nelle rare occasioni in cui una corda emotiva è sfiorata, è più grazie alla performance di Behr, che non alla sceneggiatura. Rimane tuttavia interessante il percorso che segue il protagonista dall'inizio alla fine, e che per una volta si distacca dagli argomenti consueti di tanti film americani: Clark prova a parlarci di spaesamento, ricerca di un'identità, maturazione sessuale e psicologica; di imparare a lasciar andare il passato per ritrovare il futuro, della capacità di non definire se stessi attraverso quanto abbiamo fatto e guadagnato, o ciò che si aspetta la società da noi...ma semplicemente attraverso ciò che siamo. L'orgoglio di stare a testa alta anche quando tutto cambia, e ci ritroviamo a mani vuote senza amici...per poi ricominciare.
Ottimi gli interpreti, soprattutto Jason Behr, che lungi dall'essere solo un bell'uomo, celebre in Italia per la serie "Roswell", è anche un attore espressivo dal volto interessante(vedi "Senseless"). Nel cast anche Lucy Gordon, modella morta suicida non molto tempo dopo le riprese del film.
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