Regia di Peter Hyams vedi scheda film
Purtroppo per l’onesto Peter Hyams, ex giornalista e autore dell’amato Atmosfera zero (1981), abbiamo visto da poco l’originale di Fritz Lang, L’alibi era perfetto (1956), tra i titoli preferiti del grande critico francese Serge Daney e di cui questo film è una specie di libero rifacimento. Quindi è come se fossimo passati da Mozart a Franco Battiato. Nulla contro il cantautore catanese, anzi, e infatti questo Un alibi perfetto si lascia vedere, con il suo bel mix di cinema classico, procedural alla Sidney Lumet e, appunto, sottofondo morale langhiano. Vale a dire: poca fiducia nella struttura umana che amministra la giustizia e paranoia della punizione che colpisce un innocente. Il quale, nel nostro caso, non è uno scrittore in lotta contro la pena di morte come nell’originale, ma un giornalista che, cercando di incastrare un procuratore corrotto, fa credere a tutti di essere il maggiore sospettato di un omicidio. Solo che alla fine ci credono in tanti, tranne una fanciulla, che cercherà di aiutarlo. Molto meno essenziale di Lang, ma con una notevole capacità di mantenimento del ritmo, Hyams sfodera il proverbiale mestiere per raccontarci una storia non più magistrale, ma fulcro di un filmetto piacevole, ben servito dagli attori, specie i caratteristi.
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