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Taxidermia

Regia di György Pálfi vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Taxidermia

di undying
6 stelle

Film dell'eccesso, diviso in tre atti. Volutamente retorico, inevitabilmente comico, sinceramente orribile. Un esempio coraggioso/oltraggioso/disgustoso/spassoso che riesce a stupire, per la qualità di una regia originale e innovativa.

 

locandina

Taxidermia (2006): locandina

 

Ungheria. Durante la Seconda guerra mondiale Morosgoványi Vendel subisce le angherie del comandante in grado, Balatony. Vendel scarica -letteralmente- lo stress con atti onanistici e compulsivi sino a quando ha un rapporto con la brutta moglie dell'opprimente tenente. Viene ucciso senza tanti ripensamenti a colpi di pistola dal superiore tradito, mentre dal rapporto occasionale, dopo nove mesi, nasce Kálmán. Piccolo paffuto, destinato a diventare un campione internazionale di... abbuffate sportive, singolari competizioni tra partecipanti dei paesi dell'Est su chi riesce a mangiare il più possibile (trippa, zuppa di fagioli, uova) senza scoppiare, per poi rigurgitare tutto a più riprese. Kálmán, di stazza ovviamente estrema, incontra la dolce (abbondante) metà: si chiama Gizi e anche lei partecipa alle competizioni "sportive". Cornificato prima d'essere marito, ossia durante il rito matrimoniale, Kálmán (dopo nove mesi) diventa padre (putativo): nasce Lajoska, un gracile bambino che manterrà un fisico asciutto (pelle e ossa) per intraprendere l'attività di tassidermista. Passano gli anni e l'ormai anziano Kálmán ha raggiunto una stazza di circa mezza tonnellata (!!!). Giacendo infermo, davanti alla televisione, viene alimentato e pulito -senza soluzione di continuità- dal figlio. Una lite tra i due provoca conseguenze inattese. Lasciato solo in compagnia di paffuti gattoni, Kálmán viene sbranato dai felini.

 

 

"Sono sceso nei sotterranei, era circondato da braccia, un ragno metallico. Si era decapitato. Solo la macchina lo manteneva in vita. Lei lo aveva ucciso, e lei lo faceva rivivere. Io ho visto il meccanismo mettersi ad oscillare, il braccio che teneva il cuore fare ritorno, per la spinta del proprio peso, fino a colpire il gancio basculante che sganciava la lama tenuta fino a quel momento. E la testa si è separata dal corpo, e solo un istante dopo, il braccio destro, che ancora si muoveva, si è staccato dalla spalla. Certo, ci sono sempre delle imperfezioni, due in questo caso: la testa e il braccio. È un tronco, arcaico. Se si può dire, c'è anche un'altra lacuna. Esistono cose che non si possono conservare in alcuna soluzione. È possibile impagliare il proprio padre, come simbolo di tutta la famiglia ma non ciò che si prova nel vedere la lama avvicinarsi alla propria testa. È una sensazione che non si può impagliare. Questa fa parte dell'autentica storia di Lajos Balatony, e ne è l'essenza. Ovviamente ognuno ha le proprie idee su ciò che è importante o meno. Per alcuni è lo spazio, per altri, il tempo." (Testimone oculare dell'ultimo lavoro di Lajos)

 

 

Cinema grottesco, comico ma anche estremamente rivoltante. Opera dell'ungherese György Pálfi, ispirato dal racconto Hullamzo Balaton scritto da Parti Nagy Lajos. Il regista compone un insieme fortemente disturbante e volutamente volgare, suddividendo in tre atti il destino squallido di tre generazioni nate sotto il segno del tradimento (e del regime comunista). La prima parte è quella più ironica e sorprende per l'audacia della messa in scena presentando Morosgoványi, non a caso dotato di labbro leporino, come un masturbatore incallito. Esilarante la scena che lo vede adattare un buco nella capanna, cosparso di grasso, attraverso il quale ripone l'attrezzo mentre spia due ragazze, senza fare i conti con una gallina curiosa.

 

 

Mano a mano che il film procede si resta basiti per l'assurdità delle situazioni che contrasta con una regia strepitosa. La macchina da presa compie virtuosismi impossibili, librandosi in alto, ruotando a 360 gradi sottosopra (nella scena del parto) o muovendosi di lato con cambio scena in dissolvenza (la vasca multiuso). Il secondo segmento è quello più disgustoso, ovvero è cinema del vomito: i grassi protagonisti -davvero simili a quelli obesi e rotondeggianti ritratti da Fernando Botero nei suoi quadri- rigurgitano litri di liquido senza sosta, in apposite gabbie destinate come vomitatoi post competizione. Si ride poco, e anzi vien voglia di girare la testa. Il terzo atto rasenta il limite della follia, ed è anche quello che -non a caso- dà titolo al film. Disturbante oltre ogni limite sia per la condizione disumana dell'ultra obeso Kálmán, simile più a una balena che a un essere umano, sia -soprattutto- per l'azione compiuta dal figlio. Dal dizionario Treccani: "Tassidermia - Tecnica di preparare, a scopo scientifico, le pelli degli animali in modo da renderne possibile la conservazione, e di imbottirle dando loro l’aspetto e l’atteggiamento degli animali vivi. Talvolta il termine viene esteso anche alla preparazione degli invertebrati, le cui spoglie vanno trattate diversamente da quelle dei Vertebrati."

Ovvero non imbalsamazione vera e propria, come dimostra il trattamento riservato a Kálmán. Mentre fa davvero rivoltare lo stomaco il dettaglio della rimozione degli organi compiuto da Lajoska e il trattamento riservato a se stesso. Che ricorda, non a caso, la tecnica tedesca -applicata ai cadaveri- di Gunther von Hagens.

In conclusione questo Taxidermia, opera non accostabile a nulla di precedente, finisce per essere un capolavoro dell'oltraggio, diviso tra una regia perfetta e davvero innovativa e un contenuto discutibile, talvolta irresistibilmente comico, talatra volgare oltre ogni aspettativa. Un ottimo esempio di interrelazioni tra alto (le stelle) e basso (lo sperma che vola in cielo); tra elegante (i sinuosi movimenti della macchina da presa) e volgare (il corpo visto dentro). Un film che coniuga elementi sopraffini a altri ben poco edificanti. Ma che ci sarebbe piaciuto vedere proposto (in gara) al Festival di Cannes...

 

 

"A cosa serve un ca**o che si rizza, Morosgoványi? E inoltre, ti chiedo apertamente, c'è qualcosa di meglio della f**a di una donna? Perché la si chiami come si pare comunque la f**a è il comune denominatore. E se non lo è... è perché davvero non lo è: o perché è brutta, sto parlando della parola ovviamente, o sporca intendo dire. Perciò io concordo con il poeta nel dire che il calice dell'amore è simile a un rugiadoso lilla', ma anche alla micia. Non c'è dubbio. O, come nelle parole della canzone: 'Se tu fossi un bocciolo di rosa, io vorrei essere un'ape, e ti ronzerei dentro.' Ma queste sono parole da usare quando si corteggia o si vuole essere educati. Perché tutti sanno che, in realtà, è f**a quello che si vuol dire. La f**a! Perché io ho una mia propria teoria. Non è il Mondo che fa girare la f**a, ma è la f**a che fa girare il Mondo." (Erno a Vendel)

 

 

Taxidermia (2006): Trailer Originale

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