Regia di György Pálfi vedi scheda film
Lo stile di Gyorgy Palfi aveva già dato segni notevoli di originalità in Hukkle, una visione delle cose attenta al dettaglio, una "postura" distaccata ma studiosa dell'oggetto in considerazione come un chimico, uno scienziato grottesco che travalica il semplice dato di fatto instaurando una alchimia surreale con ciò che sta sotto la superficie, scavando nel mistero e ammiccando anche a qualcosa che sta intorno ai personaggi. Aspetti che trovano una metafora proprio in Taxidermia, nello scavo che però non lascia la sostanza ma l'apparenza come simbolo e ricordo di ciò che è stato, metafora quindi tanto del suo cinema corrosivo quanto di un mondo storico in degrado, una corrosione appunto grottesca dall'ironia seriosa e macabra, delirante e debordante nella materia trattata-rigurgitata (dalla molle massa informe al dorso classicheggiante) eppure pacato nell'andamento, freddo nella fotografia dai toni verdastri e marroni, esplicito senza morbosità, preciso nell'inquadratura frammentata e nel montaggio che ricordano lontanamente (voluto o meno) l'approccio di Walerian Borowczyk ai corpi. 7 1/2
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