Regia di Henry Miller vedi scheda film
Thomas De Quincey è stato il primo a dichiarare l’omicidio una delle belle arti. E nessuno più del detective Stan Aubrey (Willem Dafoe) ne è convinto. Dopo aver risolto il caso di zio Eddy, vorrebbe dedicarsi all’insegnamento e all’antiquariato. Un omicida seriale, che ne ammira le doti e il senso estetico che sconfina nell’ossessione, lo elegge interlocutore privilegiato delle sue creazioni, costruite sulla frammentazione del punto di vista da ricomporre attraverso un gioco prospettico. Smembrando corpi e riassemblandoli come nei grotteschi trompe l’oeil di Arcimboldo, il killer non cerca un pubblico ma un critico. Livido e glaciale, Anamorph non è il classico serial thriller di fine stagione. Disperatamente autoriale, il film cita alla lettera le tecniche pittoriche di Francis Bacon (dagli sbaffi di luce che deformano i corpi al buio verdastro che opprime gli ambienti), ma non riesce a capitalizzare la tensione letargica, come da overdose di barbiturici, che evoca. Frettoloso nel chiudere (ingerenze produttive?), il film non sfrutta le sue malsane premesse e lo spleen di una New York colta in tutto il suo grigiore umido da crepuscolo eterno. Peccato, perché questo tempo degli assassini diretto da Henry Miller vanta potenzialità inespresse.
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