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District 9

Regia di Neill Blomkamp vedi scheda film

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La recensione su District 9

di Stefano L
7 stelle

 

"District 9" parte in medias res presentandoci una situazione sconcertante: gli alieni sono sbarcati sulla terra da quasi un trentennio e, impossibilitati dalla carenza di risorse per poter tornare indietro, vengono reclusi in delle oscene baraccopoli in cui sono abbandonati al loro destino in condizioni igieniche e logistiche biasimevoli. Il mockumentary iniziale, discretamente confezionato, ci mostra il deplorevole agnosticismo della popolazione, le confessioni di astensione degli invasi (apprezzabile la scelta di localizzare la storia a Johannesburg, in cui la multietnicità dei residenti dipana l’atteggiamento di discriminazione in ogni sfaccettatura di razza e religione), nonché il rifiuto di ogni sorta di comunicabilità e tolleranza. L'assunto allegorico sull’integrazione clandestina trova linfa nel capovolgimento delle parti: gli extraterrestri relegati dalla comunità diventano inesorabilmente i mallevadori del caos metropolitano, e vanno messi in quarantena, o eliminati, se è necessario. Assurdo, abbacinante, anche disturbante se vogliamo, il panorama si mantiene come una traslazione indovinata del negoziato fenomeno dell’immigrazione, elargendo una poetica disincantata, la quale non bandisce dalla rappresentazione dei colpi di scena alcuni brevi, acuti ed apprezzabili stralci di pathos, qualche mielosità complementare e soluzioni fracassone già inflazionate nel filone action ma che aggiungono quella melassa del blockbuster d’accatto in grado di allargare il target degli astanti, senza comunque strafare l’innesto sci-fi con risguardi narrativi eccessivamente supponibili. L’individualismo al cospetto del potere, l’impulso di prevaricazione e il doppiogiochismo militarista sono tematiche già trattate, benché qui affrontate in maniera abbastanza atipica. Lo sviluppo introspettivo del protagonista ha un drastico capovolgimento nel secondo tempo, dove il suo volto di ragazzotto per bene, incline alle iniziative istituzionali, soggiogato al sistema e perciò caratterialmente poco empatico e/o sveglio, trabocca in una metamorfosi dai richiami body-horror, la quale lo renderà paradossalmente il più “umano” dei suoi simili. Il cattivissimo di turno, non a caso, è il classico stereotipo del bellicista cialtrone, non esattamente soddisfacente nella sua analisi psicologica, e sorretto da uno script mediocre sul piano dei dialoghi. Da notare ad esempio l’irritante cliché: “non riesco a credere che mi pagano per questo”... La CGI è buona, perfettamente amalgamata in fondali pressoché asciutti, vanta di animazioni incredibili (ricordiamo che, almeno sulla carta, si parla di un low-budget), ed effetti di luce sgargianti e coreograficamente spassosi. La fotografia, invece, alterna non molto esaustivamente la facciata amatoriale con quella distillata da espedienti visuali schiettamente cinematografici (il cambio di registro è spesso troppo repentino per trovare una conciliazione armonicamente edificante fra i due timbri). Al prodotto di Blomkamp, quindi, non mancano i numeri; avrebbe dovuto esperire un tratteggiamento dei personaggi dalla venatura meno claudicante, ed una veste grafica migliore nel vaglio delle tonalità artistiche. Vedremo in "District 10"..  

 

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