Regia di Neill Blomkamp vedi scheda film
Per tornare a confrontarsi coi cari vecchi B-movies, zeppi di alieni mutazioni e bizzarrie varie, Peter Jackson, con la sua WingNut Films, ha investito un budget di 30 milioni di dollari (comunque una miseria in confronto alle produzioni hollywoodiane di oggi) su Neill Blomkamp, regista sudafricano emergente, mago della fantascienza applicata agli spot (sue le Citroen Transformer che si alzano e ballano), e autore di un curioso cortometraggio, Alive in Josburg, che, girato nei sobborghi di Johannesburg, immagina una sorta di nuova apartheid le cui vittime sono una comunità di alieni finiti sulla Terra per un guasto all'astronave. Folgorato dal corto in questione, Jackson ha proposto al talentuoso regista di trasformarlo in un film: affare fatto. Il protagonista è un viscido funzionario che, incaricato di trasferirli in un luogo diverso e più isolato, entra in contatto con un misterioso liquido che lo porta a mutare rapidamente. A metà tra mockumentary e fantascienza anni 50, ma con effetti speciali decisamente al passo con i tempi, District 9 è (anche) un film di forte impegno politico: la città di Johannesburg non è certo scelta a caso, e il razzismo è talmente radicato ed evoluto da non essere più avvertito come un problema, il "District 6" (dove nella realtà erano confinati i neri) diventa "District 9", e i bantu diventano "gamberoni". Gli alieni in questione ci vengono subito mostrati attraverso gli occhi di quegli uomini che li vogliono scacciare: ossia come degli esseri schifosi sporchi pericolosi e insofferenti alle regole. Quindi da ghettizzare. Ma dal momento del contagio iniziamo a conoscerli, ne scopriamo il lato "umano", comprendiamo che il loro unico desiderio è tornare a casa, e, una volta smascherata la cattiveria insita nella natura umana, finiamo per cambiare progressivamente bandiera. Messaggio politico a parte, il film di Blomkamp è godibile per la qualità della messinscena, in grado di passare dallo stile paratelevisivo all'azione dura e pura nello spazio di un fotogramma, per la robustezza del soggetto, per la forza di una sceneggiatura che non ha paura di osare né di citare. Sì, perché in District 9 c'è di tutto, da E.T. a Robocop, da molto Carpenter a Tetsuo, senza dimenticare svariati robot giapponesi anni 80. Ma il tutto è fatto con coscienza, senza rubare nulla, anzi arricchendo le opere citate, rendendole di nuovo vive in un contesto inedito. Insomma, District 9 è un film da vedere. A patto che si accetti di stare al gioco. E si abbia la mente aperta abbastanza per potersi sentire emotivamente vicini a degli alieni che sembrano lo Zoidberg di Futurama virato in verde.
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