Regia di Jonathan Mostow vedi scheda film
Curioso questo film, di genere indubbiamente "sci-fi" ma che comunque presenta alcuni aspetti singolari. Innanzitutto, considerando che è uscito in un gran numero di sale e che pare abbia utilizzato un budget piuttosto elevato, lo si definirebbe un blockbuster, eppure l'atmosfera che vi si respira è quella di uno sci-fi movie di serie B. Personalmente vi ho ritrovato certe sensazioni che mi hanno riportato alla mente vecchie gloriose serie televisive che furoreggiavano a cavallo fra i '60 e i '70, tipo "Il fuggiasco", oppure (di più) "Il prigioniero", un telefilm quest'ultimo davvero mitico per coloro che, come il sottoscritto, non sono proprio di primo pelo. Insomma -qui voglio arrivare- durante la visione ho più volte avuto la percezione di assistere a qualcosa cui associare la parola "cult". E quest'ultima è una sensazione che per ogni appassionato di cinema è molto gratificante, ancor di più quando si parla di fantascienza. Qualcuno ha parlato dei limiti di una pellicola per lo più derivativa e troppo piena di riferimenti, non ultimo quello a "Blade Runner". Dissento. Prima di tutto il film è evidentemente non troppo ambizioso nè pretenzioso, pare accontentarsi di uno status di "B-movie". E forse è proprio per questo che l'ho apprezzato e goduto fino in fondo. Forse sarò in minoranza, ma a me il film è parso sufficientemente personale, abbastanza suggestivo e ricco di tutte quelle "astuzie vintage" che un regista di fanta-B-movie deve saper manipolare con abilità. Prima di tutto lo sfondo, l'atmosfera e il clima generale sono perfetti e rappresentano una base ottima per raccontare una storia di androidi nell'ambito di un sistema sociale allo sbando. Okay, è una situazione già vista e già sentita, ma ciò non toglie che se il film riesce a coinvolgere il pubblico vuol dire che sceneggiatori e regista ci hanno messo per lo meno del buon mestiere. La prova del nove è che il pubblico in sala non si annoia e si diverte, cosa che ho potuto verificare durante la mia visione, situazione favorita peraltro dalla breve durata della pellicola (un'ora e mezza). Fermo restando -ma questo ciascuno lo può intuire dal trailer oppure dando un'occhiata al manifesto ufficiale del film- che si tratta di un mero prodotto di intrattenimento senza alcuna implicazione di "cinema di qualità". Anche se poi, non so fino a che punto volontariamente, ma qualche suggestione da "cult movie", volendo, la si può rintracciare. La partenza del film funziona alla grande, mostrando come i media stiano esaltando la vetta di eccellenza raggiunta dalla scienza tecnologica con l'avvento dei cosiddetti "Surrogati". Praticamente accade che ogni persona può acquistare una copia "androide" di sè stessa, a cui delegare tutte (ma proprio tutte) le proprie azioni quotidiane. Con il dettaglio aggiuntivo che, poniamo, se uno è calvo e grasso (per dire), può "migliorarsi" mandando in giro per la città un suo "Surrogato" snello e dotato di una bella chioma. I vantaggi? Tanti, forse troppi. Intanto scompaiono le malattie, perchè i Surrogati sono indistruttibili e -se anche vengono danneggiati- possono sempre esser riparati oppure se ne può sempre comprare uno nuovo. Questa idea di base è accompagnata nel film da tutta una serie di "trovate" una una più gustosa dell'altra. Per esempio la presenza di una suggestiva cartellonistica pubblicitaria tesa ad esaltare l'offerta promozionale dei Surrogati. Poi ci sono sequenze tipo quella di un negozio dove l'esercente mostra ai potenziali clienti la propria "mercanzia" di robot in vendita. Tutto ciò, badate, ci viene raccontato con uno spirito realistico talmente riuscito da produrre ai nostri occhi un effetto clamorosamente tra il grottesco e lo straniante. C'è poi da segnalare la presenza di una comunità di dissidenti, persone guidate da un guru di aspetto "rasta" (il Profeta) il quale ispirandosi ad una sorta di ideologia eco-pacifista (peraltro piuttosto nebulosa) mette in guardia la gente da quello che lui paventa come "Il grande inganno". Per inciso: il suddetto stregone-leader che vorrebbe recuperare la dimensione umana della civiltà, risulta poi essere alla prova dei fatti il più ambiguo di tutti. Ma, direte voi, se la gente comune manda in ufficio, in discoteca, o in qualunque altro luogo, il proprio clone robotizzato, cosa fa poi tutto il giorno disponendo di tutto questo tempo libero? Ecco, questo è il punto dolente, che tratteggia una deriva sociale avvilente e vergognosa. La gente finisce col restare a letto o in poltrona tutto il giorno, oppure vaga in mutande per casa, a rimuginare, decisamente abbruttita dall'aver perso ogni contatto con l'esterno, con la barba incolta e lo sguardo spento. Insomma, le persone si lasciano andare, rassegnate all'ozio più deteriore. Divertente poi vedere che, quando i cloni rincasano, i rispettivi "padroni" li custodiscono in una specie di armadio, collocazione che fa un pò sorridere. Fin qui ho descritto lo sfondo e l'ambientazione della storia. Su cui si inserisce e si sviluppa una vicenda che parte coi toni del thriller-action per poi evolversi sempre più in direzione di una tragedia fantascientifica, fino al prevedibile finale che promette eventi catastrofici. Diamo un'occhiata al cast, decisamente all'altezza. Troviamo un caratterista-veterano come James Cromwell, nei panni dello scienziato che inventò i Surrogati. Poi la brava Rosamund Pike nella doppia veste di moglie del protagonista e naturalmente del suo stesso Surrogato, divisa quindi tra una recitazione gelida e distaccata e un'altra straziata e colma di dolore. Molto brava (e bella!) anche Radha Mitchell, il cui volto ci è ormai noto, dopo le sue eccellenti performance da protagonista in "Melinda e Melinda" di Woody Allen e nell'horror "Silent hill". Ma su tutti campeggia un grande Bruce Willis, forse mai visto così bravo, in un ruolo che gli si attaglia alla perfezione. Non è il solito Willis, qui peraltro alle prese con due ruoli. Il suo Surrogato, levigato ed elegante, oltretutto dotato di una ridicola parrucca bionda. C'è una scena che mi è rimasta particolarmente impressa: il clone-Willis giace a terra senza un braccio, con tutti i meccanismi elettronici squinternati e "svalvolati"...Gli si avvicina una signora arruffata e dall'aria decisamente proletaria la quale, prima di freddarlo con un grosso fucile, gli grida con disprezzo: "Tuuu! Tu sei un...ABOMINIO!!". Però Willis è soprattutto un uomo alla deriva, che vive nel ricordo del figlio morto, e che è straziato nel vedere la moglie sempre più lontana da lui, disperatamente proteso a cercare di recuperare con essa un canale di comunicazione. Tutte queste sfighe offrono a Willis il destro per una recitazione piuttosto sofferta, molto dolente, e con qualche sfumatura in più rispetto al Willis-energumeno a cui siamo abituati. Tanto per dare un'idea del livello di contaminazione tra il grottesco e il fanta-action, sapete come i Surrogati nei loro discorsi definiscono gli umani? "Sacchi di carne" (!). In definitiva, il film è un buon prodotto di consumo che funziona. Ma per dare l'idea che c'è "qualcosa in più", vorrei concludere citando le frasi finali della recensione firmata da Aldo Fittante, direttore di "Film Tv"... "Sarà anche "piccolo" questo film, ma ha tutte le stimmate del grande e prediletto discepolo di "L'Invasione Degli Ultracorpi" di Don Siegel: tramontate le ideologie, annientato il comunismo, ora i nemici di noi stessi siamo noi. Non ci sono più alibi"
Voto: 8 e 1/2
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta