Regia di Otto Preminger vedi scheda film
È lodevole l’iniziativa di RaiPlay di rendere disponibili alla nostra visione, per qualche giorno, a ottant’anni dalla morte, alcune delle interpretazioni introvabili di Marilyn Monroe. Diventa sopportabile persino la pubblicità…
Dopo Niagara, dunque, “La magnifica preda”, o (secondo il titolo originale) “Love is the Travel on the River of no return”, che richiama il leitmotiv struggente del film, che Kay (Marilyn Monroe) – accompagnandosi con la chitarra – canta per il pubblico prevalentemente maschile dei Saloon nel lontano West nordamericano*.
La storia è quella di Matt Calder (Robert Mitchum), che uscito dal carcere dopo aver scontato la pena, arriva al villaggio di tende e botteghe per incontrare Marco (il piccolo Tommy Retig), il figlio di nove anni che non ha mai visto e che ora, orfano di madre, è sotto la protezione di Kay.
Padre e figlio si piacciono e decidono di vivere sotto lo stesso tetto portando avanti l’attività agricola per ricuperare la produttività di un terreno a lungo trascurato – troppe guerre – e conteso ora dagli Indiani nativi che vorrebbero ri-impossessarsene.
Matt deve naturalmente insegnare a Marco come usare gli strumenti del lavoro e quelli per la propria difesa: il piccino sta infatti imparando a sellare il cavallo e a domarlo, così come a temere gli indiani “quando si dipingono il volto”, nonché a usare il fucile per difendersene.
Kay ama Harry Weston (Rory Kalhoun), un avventuriero privo di scrupoli, gran giocatore d’azzardo e ora intenzionato ad allontanarsi dal villaggio per raggiungere Council City, dove egli potrà depositare l’atto di proprietà di una miniera d’oro – l’ha vinta giocando a carte – e finalmente sposarla.
Con determinata e minacciosa crudeltà Harry Weston, si sarebbe impadronito del cavallo di Matt abbandonando il suo proprietario e il piccino – entrambi salvati da Kay – agli Indios in arrivo e costringendoli alla perigliosa traversata del fiume, diventato, con le sue acque torbide l’allegorica rappresentazione della passione nascente e contraddittoria fra la bellissima e sensualissima Kay e l’uomo che ne è insieme intenerito e attratto.
Entrano presto in gioco la necessità della sopravvivenza, la ferocia dei combattimenti non solo contro gli Indiani, la tenerezza solidale, la condivisione del poco che si ha, la tenacia nella ricerca di un’àncora di salvezza…
Otto Preminger, regista del film (1954) applica per la prima volta il colore e sperimenta lo schermo panoramico – il cinemascope – cercando di superare con la spettacolarità delle riprese, emotivamente coinvolgenti, la povertà dello script di Louis Lantz e Franke Fenton, indecisi e incapaci di cogliere nell’amore fra Kay e Matt la centralità del film.
A Preminger, dunque, va il merito di aver valorizzato gli elementi simbolici, trasformando due personaggi – di per sé convenzionali – in sofferenti interpreti di una donna e di un uomo che per trovare il senso della propria esistenza devono abbandonare abitudini, ambizioni e prospettive di ricchezza per ritrovare la “casa”, ovvero l’unità nell’amore vero, capace di accogliere anche il piccolo Marco, in un reciproco e permanente scambio di affettuose complicità. La vita è un viaggio lungo (non senza difficoltà e spensierato): è un viaggio duro e difficile, fra svolte impreviste, speranze inattese, agguati impensabili “Travel on the River of no return”…
*Le riprese – dal giugno al settembre del 1953, come ci ricorda Wikipedia vennero girate, in esterno principalmente ad Alberta, in Canada, presso il Banff National Park e il Jasper National Park oltre alle scene fluviali (Maligne River, Bow River, Snake Indian River); negli USA vennero realizzate le riprese del Salmon River nonché le scene interne (presso gli studi della 20th Century Fox a Los Angeles)
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