Regia di Michael Spierig, Peter Spierig vedi scheda film
Eppure l’inizio aveva lasciato sperare in qualcosa di diverso: atmosfere fumose rivestite con abiti dal taglio retrò e borsalini calzati all’ultima moda a far da contraltare ad uno scenario di asettica modernità. Il tutto valorizzato da un campione del cinema di genere, al secolo Ethan Hawke, già protagonista di “Gattaca", a cui “Daybreakers” deve molto, non solo in termini di presenza attoriale. Poi però servono anche le idee e qui il film si ferma, paralizzato da una serie di luoghi comuni sul vampirismo moderno aggiornati da quel surplus di paradosso che ha creato fenomeni di massa e fatto la fortuna di omologhe serie televisive. Un argomento di tendenza ma già usurato, a cui “Daybreakers dà il colpo di grazia per l’intreccio scontato, i personaggi abbozzati ed un dinamismo così poco cinetico da risultare letale in un contesto del genere. L’umanità è in via di estinzione ed il dottor Edward Dalton, vampiro ed ematologo di una multinazionale farmaceutica (come sempre disonesta e come sempre capeggiata dal cattivo di turno), decide di allearsi con gli umani per creare il virus capace di interrompere la pandemia che li sta decimando: questa la premessa di un nulla condito dalle solite citazioni sociologiche e cinematografiche, e con un finale che lascerebbe intendere pericolose gemmazioni. A farne le spese, oltre allo spettatore attirato da una confezione ingannevole, anche gli attori, tra cui si distingue Willem Dafoe, colpevolemente recidivo (Anamorph) e qui alle prese con un interpretazione da “pesce fuor d’acqua” raramente ripetibile. A questo punto sono meglio le torture di Von Trier.
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