Regia di Oliver Hirschbiegel vedi scheda film
“Voglio i miei cinque minuti di paradiso”, la frase, come un mantra, è ripetuta da Joe Griffin: la sua vita è stata un inferno, ora ha l’occasione buona per fare fuori Alistair Little, l’uomo che è all’origine delle sue sventure.
Era un bambino Joe, stava giocando al pallone sul marciapiede, quando arrivò l’uomo con la calzamaglia nera.
Era febbraio del 1975 e le tensioni tra cattolici e protestanti nell’Irlanda del Nord provocarono morti a catena, circa 3720 persone furono uccise nel conflitto.
L’uomo con la calzamaglia nera guardò fisso negli occhi il ragazzino Joe, poi estrasse la Smith & Wesson calibro 38 e sparò tre colpi a bruciapelo, attraverso la finestra del piano terra che dava sulla strada.
Tre colpi al torace di Jimmy, il fratello di Joe che stava guardando un programma comico alla televisione.
Morì sul colpo Jimmy: della morte di Jimmy, Joe ha portato il peso per 33 anni perché sua madre lo rimproverò di non avere fatto nulla per impedire all’uomo in calzamaglia di sparare. (“Avresti potuto fermarlo con una bottiglia o qualcos'altro! Perché' sei stato fermo? Tu l'hai ucciso! Tu l'hai ucciso! Tuo fratello!”.
Alistair Little aveva sedici anni quando uccise Jimmy Griffin, faceva parte dell’UVF, l'Esercito di Volontari dell'Ulster.
Da una storia vera, sceneggiata da Guy Hubbert con l’imprimatur dei ‘veri’ Joe Griffin e Alistair Little, interpretati rispettivamente da James Nesbitt e Liam Neeson, Oliver Hirschbiegel (The Experiment, The Invasion, Gli ultimi giorni di Hitler) dirige un film-verità, stringato in 85 minuti di suspense. Un film politico sulla ‘riconciliazione’ (RICONCILIAZIONE è anche il nome della casa di produzione).
2008: Dice Alistair Little (un nome che mal si addice alla legnosa pertica Neeson):
“In quegli anni, non dimenticatelo, c'erano rivolte nelle strade, ogni settimana, bombe Molotov ogni giorno e questo solo nel nostro paese. Quando tornavi a casa e accendevi la TV, vedevi che succedeva anche in ogni altro paese. Ed era come se fossimo sotto assedio. Padri e fratelli di amici venivano uccisi nelle strade. E la sensazione era che tutti dovevamo fare qualcosa. Noi tutti c'eravamo dentro e noi tutti dovevamo fare qualcosa. Colin che lavorava al Castle's, sì, il tagliapietre… quelli dell'IRA lo avevano minacciato.”
Alistair Little sta provando a mettere insieme i ricordi del giorno in cui uccise Jimmy Griffin. Un’emittente televisiva lo ha invitato a partecipare a una trasmissione per tentare una difficile riconciliazione con Joe Griffin.
Anche Joe Griffin pensa:
“I miei cinque minuti di paradiso. Non ci sarà una riconciliazione.”. Coglierà l’occasione per uccidere Alistair Little in diretta.
Due uomini a confronto, come si tenta di fare nei programmi televisivi ‘perdonisti’. Chiamiamo il figlio di Tobagi, ha scritto un libro, così facciamo pubblicità al libro, inquadriamo la faccia buona del Tobagi figlio (che è diventato giornalista di un grande quotidiano) e… solo che in Italia viene mostrata solo una delle vittime.
Nel film di Hirschbiegel sono due le vite distrutte: Alistair si è fatto dodici anni di galera, è un uomo solo, perseguitato da una colpa incommensurabile. Non si fatto una famiglia, essere perdonato o essere ucciso per lui è lo stesso, purché si liberi dal fardello.
Joe lavora in un cartonificio per contenitori di uova , ha moglie e due figli, è un nevrotico ossessivo (e chi non lo sarebbe con il peso di un fratello ucciso, la colpa attribuitagli dalla madre, il padre morto di infarto sei mesi dopo), scosso da tic tourettici.
La partita tra i due uomini sta per cominciare. Impossibile giudicare, non resta che riflettere.
Oliver Hirschbiegel dirige con sobrio distacco, Liam Neeson è meno rigido del solito e ripete una performance degna di Schindler, James Nesbitt è straordinario (come in Bloody Sunday), forse troppo sopra le righe.
Five Minutes to Heaven è un film politico come Frost/Nixon e United ’93: spazio chiuso, confronto, suspense.
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