Regia di M. Night Shyamalan vedi scheda film
Forse il cinema di Shyamalan non è (ancora) in grado di giocare, in questo caso con la popolare serie animata Avatar. La leggenda di Aang andata in onda dal 2005. C’è infatti uno scarto tra il suo sguardo astratto e la densità della storia portata sullo schermo. Non si pretendeva l’artigianalità seduttiva presente in alcuni momenti dello scostante Prince of Persia né che l’opera del regista si spersonalizzasse del tutto. Ma l’elemento più affascinante della sua opera è proprio quella fragilità che sfocia nel fantasy-thriller dove lui stesso sembra perdere l’orientamento come era accaduto in Unbreakable. Il predestinato (il suo film più bello) e in E venne il giorno. Stavolta però Shyamalan non è voluto precipitare negli abissi marchiando fortemente il film. I quattro elementi diventano infatti i segni visibili di una progettualità teorica già evidente nel non riuscito Lady in the Water, con tentativi di bloccare i dettagli (l’acqua che diventa ghiaccio) o di aspirare a una spettacolarità anche visivamente affascinante (le visioni dall’alto) ma che non si avvicina alla sublime consistenza del cinema di Cameron soprattutto nel contatto tattile con il 3D. C’è nel regista quasi una sfida nel portare forse una folgorazione soggettiva che potrebbe coincidere con la seconda trilogia di Star Wars (soprattutto l’ultimo, imprescindibile La vendetta dei Sith). Il suo è certamente un cinema che pensa in grande ma si sente anche che ha paura di farlo. E L’ultimo dominatore dell’aria è al momento il suo film più estraneo.
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