Regia di Chris Fisher vedi scheda film
29 giugno 1995. Sette anni dopo la brutta (?) fine del fratello Donnie, la sorella minore Samantha, anch’ella sonnambula, è in viaggio insieme all’amica Corey. Le due diciassettenni si dirigono verso le coste californiane, in cerca di un impiego come ballerine grazie all’auspicato aiuto del padre di Corey.
Ma con la famiglia dei Darko c’è da stare attenti e col naso all’insù: questa volta dal cielo cade un meteorite su di un piccolo mulino a vento in quel di Conejo Springs. E la fine del mondo è preannunciata nientemeno che il 4 luglio, festa nazionale americana.
Anche qui si sono voluti inserire (senza particolare significato, per la verità) vaghi echi politici che fanno capolino tra le maglie della sceneggiatura: si parla di “Desert storm” e si fa riferimento ai reduci di guerra. L’approfondimento si esaurisce tutto nell’esistenza di un personaggio vestito con la tuta mimetica che si chiama Iraq Jack e che è stato pettinato con i capelli sparati all’insù. In questo modo (e nella fine che gli fanno fare) i realizzatori si sono assicurati un aggancio non indifferente al personaggio principale del primo film.
Molto affascinante visivamente e con paesaggi davvero mozzafiato (che peraltro non vengono sfruttati a dovere, visto che si sarebbero sposati benissimo per definire i caratteri dei personaggi), la pellicola si districa a fatica tra scelte musicali stuzzicanti. Quello che non stimola è la sceneggiatura, la quale si sente in obbligo di richiamare continuamente il film originario; ecco che rispunta il fuoco punitivo contro la religione discriminante e non scevra di rappresentanti al limite del fanatismo, e il qualunquismo degli adulti nei confronti di adolescenti un po’ allo sbando ma non meglio definiti e analizzati.
Troppo spazio viene lasciato al sovrannaturale e ai viaggi nel tempo; un espediente molto di moda negli scritti degli ultimi anni che oramai ha annoiato anche il cucco.
Gli attori pronunciano le battute con un tono sempre dannatamente così solenne e definitivo tanto da sembrare sull’orlo di una consacrazione divina; il conseguente fastidio è ai livelli di guardia e risulta spossante.
E non servono i riferimenti “alti” all’Apocalisse o al cinema uscito in quegli anni (si ostentano per ben due volte titoli come “L’esercito delle 12 scimmie” e “Strange days”).
No no, “Donnie Darko” non si poteva proprio toccare. Il suo sequel, se così si può chiamare, rimarrà una meteora. Chris Fisher, dopo aver mischiato vorticosamente e inopportunamente le carte della narrazione e aver usato un po’ a sproposito i ralenty (sapientemente dosati dal suo predecessore), ha almeno il garbo di rimettere tutte le cose in ordine e lasciare a Richard Kelly, qualora volesse proprio rimetterci le mani, la possibilità di continuare doverosamente la storia del Donnie Darko che conosciamo.
A proposito… chissà dove si troverà, adesso, quel ragazzaccio.
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