Regia di Gabriele Muccino vedi scheda film
(Non sono oggettivo. Ho visto L’ultimo bacio a dodici anni. Ora ne ho quasi diciannove. Posso dire che, volente o nolente, con i film di Muccino ci sono cresciuto. Non che li amassi particolarmente, ma facevano parte di quell’educazione cinematografia che da sempre ho coltivato, mangiando qualunque piatto e giudicando solo dopo aver assaggiato. Ho atteso Baciami ancora con molta trepidazione e non me ne vergogno a dirlo. Era il film giusto, al momento giusto di cui avevo bisogno per capire alcune cose. Mi scuso sin da ora se l’analisi risulterà disordinata).
È come avere la possibilità di osservare la crescita di personaggi nei quali, in un modo o nell’altro, ti identifichi. In ogni personaggio di Baciami ancora (che sembra rispondere in qualche modo al titolo del film precedente) si trova qualcosa di noi stessi, inevitabilmente. La frase di lancio nella locandina è la stessa del film precedente: “La storia di tutte le storie d’amore”. È ovviamente un’esagerazione, una frase ad effetto, ma evidentemente con qualche fondamento: è un film sull’amore che trasforma. Perché, in ossequio a Lavoisier, “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. E così l’amore, così questa lunga storia, in cui niente finisce se non momentaneamente, reincarnandosi in altro. Tanto L’ultimo bacio era istericamente instabile, focalizzato sull’immaturità prematrimoniale di Carlo, perso per una quindicenne, e sulla voglia di novità generata dalla noia cinquantenne della mamma di Giulia (“una pianta grassa senza spine”), quanto Baciami ancora è risolutamente e drammaticamente sereno.
L’ironia è confinata ad un angolo, magari qualche sferzata così ogni tanto, quasi per sbaglio, solo esplicitata nella disperata tragedia dell’uomo ridicolo Marco (un clamoroso Pierfrancesco Favino) tradito dalla moglie per un ventenne. Non è un film che fa ridere: come nel primo episodio ci si divertiva nel vedere questi trentenni in balia di se stessi, privi di riferimenti, barcamenati in una vita che impone delle scelte rigorose e radicali, così in questa seconda puntata i personaggi sono cresciuti, e portano sul volto dieci anni trascorsi tra delusioni (tante) e disillusioni (ancor di più). Per quanto non possa piacere a molti, Gabriele Muccino è uno dei pochissimi, oggi, a realizzare affreschi così polifonici e maturi, servendosi di una sceneggiatura così complessa da risultare esattamente coerente con quel che vuole raccontare. Baciami ancora è un’opera corale sullo stato dei nostri sentimenti, non limitato ai quarantenni di oggi, un riassunto di tutto il cinema mucciniano e certamente il miglior film del regista romano.
Ogni personaggio maschile (in un’ottica non misogina, ma orgogliosamente maschia, come d’altronde tutto il cinema italiano è maschio) ha qualcosa da dire, un qualcosa da rappresentare. Carlo (uno Stefano Accorsi sempre più vellutato) è un quarantenne immaturo che ha paura di morire. Ha le paranoie di chi vuole ignorare il nome della cura ai propri mali. La cura è Giulia (Vittoria Puccini, bravissima e delicata, al posto della recalcitrante Giovanna Mezzogiorno), che lui ha ripetutamente tradito e da cui è stato scaricato per un mediocre attore, Simone (il vanesio Adriano Giannini). È il protagonista, probabilmente l’alter ego dell’autore (anche se i parallelismi con la separazione effettiva del regista non so fino a che punto siano pertinenti) e rappresenta l’incapacità di una sintesi fra cuore e mente di chi non ha ancora deciso tra i giochi dell’adolescenza e le responsabilità della maturità.
Marco è il bonaccione conservatore la cui mancanza di un figlio provoca non solo una rottura di collisione nel matrimonio con l’annoiata Veronica (la puntuale Daniela Piazza) ma soprattutto una crisi d’identità che passa attraverso i suoi spermatozoi. Paolo (un grande Claudio Santamaria), dopo il lutto della morte del padre e il ritorno dal viaggio che chiudeva la fine del primo film, si è ammalato del male oscuro (e probabilmente anche di schizofrenia), dipende dalle pasticche che li fanno dimenticare il dolore e si è innamorato della moglie abbandonata del suo migliore amico Adriano, Livia (strepitosa Sabrina Impacciatore), rivestendo anche il ruolo di padre per il figlio dei due amici. Adriano (un Giorgio Pasotti nell’interpretazione migliore della sua carriera) ha latitato per dieci anni, è finito perfino in carcere per una storiaccia di spaccio di cocaina, e ha deciso di ricominciare da capo – ma non ha considerato le conseguenze delle sue azioni –, e forse ci riesce. Alberto (un Marco Bocci a cui si poteva dare più spazio) è il più risolto di tutti, orgoglioso di quel che è stato la sua vita e di non essere finito come i suoi amici.
È una storia d’amicizia, di quella cooperazione solidale che lega gli uomini e che non si ferma nemmeno davanti ad un tradimento amoroso. Come già nel coevo La prima cosa bella di Paolo Virzì, c’è un evidente omaggio a C’eravamo tanto amati: quando Alberto, Paolo e Adriano scendono per le scale e finiscono in una piazzetta non si può non pensare a Manfredi, Gassman e Satta Flores che escono dal Re della Mezzaporzione e discutono (non è un mistero che Muccino da tempo voglia dirigere un remake di quel film, e il capolavoro di Ettore Scola si sta confermando sempre di più come il film fondativo dell’idea di cinema di una certa generazione). Oltre all’amicizia, che è la forza dell’intera storia e del coro degli interpreti, e all’amore, gli altri temi fondamentali del film sono la fuga, il fallimento esistenziale, la morte. Baciami ancora rappresenta magnificamente l’impatto drammatico che la vita ha sui suoi abitanti, i bivi a cui li costringe quasi ad imporre una scelta radicale, certa, decisa, le circostanze esistenziali che non raffigurano solo l’apparenza (la superficialità è una delle colpe che maggiormente ascrivono a Muccino: la cosa vera è che Muccino sconta ancora la superficialità dimostrata nell’ambizioso Ricordati di me e in pochi si accorgono che ora sa realizzare storie molto più intime e profonde), ma anche l’essenza.
Di fuga se ne parla ne L’ultimo bacio, quando Alberto, Paolo e Adriano scappano alla volta di un Altrove da cui ritornano a causa di una tromba d’aria. L’unico che non ancora torna da lì è Alberto e infatti sarà lui a scegliere una nuova vita, magari con il presuntuoso obiettivo di non fare la fine dei suoi amici. Ma è nell’Altrove della Natura che si può individuare un’ipotesi di salvezza? O è solo l’accertamento di un fallimento esistenziale? Chi riconosce il proprio fallimento è certamente Adriano, che porta in volto i segni di una vita scellerata, a cui metaforicamente è destinata una via crucis di purificazione (con tanto di croce sulle spalle) in un paesino di montagna, dove inconsapevolmente incontra la sua via di salvezza (la Adele della docile Valeria Bruni Tedeschi). E di fallimento possono parlare anche Marco (un matrimonio fallito) e Carlo (anche lui un matrimonio fallito all’attivo), ma, come vedremo nel finale, ad entrambi è riservato un futuro luminoso, determinato dalla nascita di conciliatori figli. Ma il più fallito di tutti, moralmente ed eticamente, professionalmente e sentimentalmente, è Paolo.
Alla fine è proprio lui a compiere la scelta più radicale, forse l’unica possibile per un debole come lui al fine di evadere da una vita troppo pesante: l’impossibilità di essere amato e l’incapacità di amare annientano anche il più depresso tra i romantici. È Paolo, assieme a Livia, a dare vita ai pochi momenti mucciniani del film, quelli in cui l’urlo isterico domina la scena, acquistando però qui una versione più disperata e trascendentale. La morte di Paolo è il momento più commovente dell’intero film e la successiva elaborazione del lutto dei suoi amici non può non far pensare a Il grande freddo (altro importante riferimento emotivo di questa grande storia d’amore), ma anche a Saturno contro (forse anche per la presenza di Accorsi in obitorio, quasi un deja vu).
La cosa bella di Baciami ancora è l’osservazione dell’evoluzione da L’ultimo bacio: se lì l’esigenza era la rabbia di dimostrare che i trentenni non sarebbero mai stati dei falliti come la generazione che li ha preceduti, qui la necessità è quella di una possibilità di felicità. È un obiettivo meno ambizioso ma più rasserenato con se stesso, più difficile ma anche meno temerario: se vogliamo, il film è una catarsi sentimentale intenzionata a dare un ordine alle cose con armi elegantemente sublimi. La tenerezza (gli sguardi malinconici degli amanti perduti, specialmente Carlo e Giulia), il romanticismo (il valore della pioggia, le lacrime che partecipano alla storia in modo umilmente devastante: la sequenza della resa dei conti di Carlo e Giulia è semplicemente divina), la paura (di crescere, di amare, di fuggire, di cambiare). È un film nuovo (è raro vedere un film così di questi tempi), malinconico e violento, dolce e toccante, che resterà. E poi l’ottimismo finale (senza ambiguità) merita un cenno, diamine. Specialmente se Lorenzo Cherubini canta Baciami ancora, esempio lampante di come anche una canzone su commissione può essere un piccolo classico. Tra l’altro: titoli di coda fantastici e video della canzone bellissimo.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta