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A Serious Man

Regia di Ethan Coen, Joel Coen vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su A Serious Man

di ed wood
7 stelle

"A serious man" è un'altra delle tante, troppe occasioni mancate dai fratelli Coen. Una all-jewish comedy, penalizzata dal doppiaggio e dalla scarsa conoscenza, da parte dello spettatore medio, della cultura ebraica americana e del più autentico umorismo yiddish (qui riportato con tutti i suoi tic, i giochi di parole, i sottintesi etc...che necessariamente sfuggono allo spettatore comune). Siamo abbastanza lontani dal narcisismo di un Woody Allen, molto più eloquente nel mettere in scena la sua condizione di borghese ebreo laddove il film dei Coen è perlopiù allusivo. Ma non è questo il solo limite del film. Come sempre i Coen viaggiano su quel sottile crinale che separa l'ambizione moralista da una amoralità radicata in quel cinema post-moderno, grottesco e disilluso che hanno contribuito a fondare nei lontani anni 80. E in questo spericolato equilibrismo, finiscono spesso per scivolare da una parte o dall'altra, spinti da un vento che, ad ogni sequenza, pare tirare in direzioni sempre diverse. E' un cinema fin troppo articolato quello dei Coen, senza che però questo sviluppo "orizzontale" riesca a scendere in profondità, a penetrare livelli di senso ulteriori. E' un cinema freddo e superficiale, ma non in senso spregiativo: non che i Coen non abbiano cuore, men che meno siano incapaci di riflettere seriamente su temi alti. Anzi: in certi momenti, i loro film, tra cui anche "A serious man", hanno l'ambizione e la consistenza (sia pure bilanciata dall'ironia) del saggio filosofico. In problema risiede proprio nella transitorietà di quei "certi momenti": non c'è continuità, non c'è compattezza ed organicità nel discorso tematico, nè nelle scelte stilistiche. E' un cinema che vive di passaggi di pura intelligenza, se non di genio. Peccato che rimangano fini a se stessi, quasi decorativi nel contesto di vicende bizzarre e iperboliche, dove il tragico e il ridicolo camminano a braccetto. "A serious man" porta una mezza novità nel discorso coen-iano: il protagonista è sempre un mediocre, ma questa volta non fa proprio niente per meritarsi tutte le sciagure che gli capitano. Non ha l'assurda ambizione di dare una svolta alla sua squallida vita, che mandò in rovina gli anti-eroi di "Arizona Jr", "Fargo", "L'uomo che non c'era" etc...La vita di Larry va a rotoli su tutti i fronti, senza che lui abbia fatto niente per meritarselo (sineddoche ironica e geniale di questo concetto è la telefonata del venditore della collana di dischi rock: un grave dilemma morale ridotto ad una trovata pubblicitaria). Il fatto è che attorno a Larry c'è gente che sta peggio: la moglie sconvolta dallo shock per la morte dell'amante, lo schizoide zio Arthur etc...E tutto sommato, Larry riesce a farsi la procace vicina di casa, ad avere la promozione etc...E quindi? Qual è il problema? Dove va a parare il film? E' un film sul Male, sul Bene, su Dio o cos'altro? Alla fine, è un po' di tutto questo, è un pot-pourri di tormenti morali che non trovano altro sfogo espressivo se non quello della mera catalogazione, piatta e uniforme, senza che venga concesso ad uno di questi temi di guadagnare spessore e costituire finalmente il "nocciolo" del film. Ecco la "orizzontalità" della proposta coen-iana. In questo gustoso caos (a)morale, dove Fede e Ragione fanno a gara nel coprirsi di ridicolo, gli unici stratagemmi usati dai Coen sono quelli della dissacrazione e della digressione. I rabbini divengono quasi caricature di loro stessi, emblemi del fallimento della religione come guida nella vita quotidiana, dispensatori di vuote massime, attenti più alle faccende pecuniarie che a quelle dell'anima, fino all'allucinazione di un capo rabbino che cita i Jefferson Airplain! Il Bar Mitzvah sotto cannabis di Danny, assieme agli incubi e dalle visioni di Larry, esprimono in pieno questa limitatezza di orizzonti del programma coeniano: excursus visionari nella mediocrità di una borghesia che forse è troppo prosaica per pretendere una illuminazione spirituale (il ragazzo ha in mente solo rock e canne; l'adulto solo scopate furtive, fantasmi di un vicinato anti-semita, atti di generosità possibili solo col denaro sporco). Visioni mediocri per persone mediocri, quindi. Ma il momento che meglio di tutti riassume il non-senso di questa ricerca (del protagonista, degli autori, degli spettatori) è la lunga e spassosa digressione del secondo rabbino sulla vicenda del dentista: un vertiginoso raccontino che non significa proprio niente, se non la frustrante conferma di quel "principio di indeterminatezza" da sempre croce e delizia del cinema dei Coen.

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