Regia di Ethan Coen, Joel Coen vedi scheda film
Fine anni '60: una città, Minneapolis, un suo abitante, un ebreo, uomo buono e mite, una persona perbene, professore di fisica, marito di una donna 'ostile', padre di una donzella perennemente impegnata a lavarsi i capelli e di un 'losco' ragazzino terribile. Con un fratello 'problematico' a carico, il nostro attraversa una serie di spiacevoli accadimenti, sul lavoro e nella vita privata, che lo condurranno ad interrogarsi sul perché di tante sciagure, e, quindi, a trovare rifugio, conforto e risposte nella sua fede religiosa. I caustici fratelli Coen allestiscono una superba parabola esistenziale, così lucida e affilata da arrivare a procurare dolore. Perché centrano in pieno l'obiettivo prefissatosi: raccontare il rapporto dell'uomo con la religione sondandone il peso nel suo vissuto quotidiano, nell’influenzare e condizionare i pensieri, le azioni, le scelte. Pur riferendosi specificatamente all’ebraismo (in quanto essi stessi ebrei) i sublimi artefici di tante storie belle e bizzarre della Hollywood-d’autore contemporanea riescono, grazie anche ad un registro narrativo/visivo diretto, intelligente, facile e accattivante nella sua fruizione, a farsi portavoce di un preciso comune sentire -tutto umano- riguardo l'universale mistero della fede nelle sue varianti di credo. È possibile vivere timorati di Dio e al contempo essere tutto e per tutto umani, accettando perciò la propria natura come l’insieme indissolubile di virtù, rettitudine morale, istinto, sogni, bisogni, vizi, difetti, debolezze? E fino a che punto sono fuse tra loro l'essenza spirituale e materiale proprie dell'uomo stesso? Joel ed Etan Coen non forniscono risposte certe e rassicuranti; affrontano da esseri umani quello che è forse il cardine dell'intera nostra esistenza illustrandoci, spesso con intuizioni geniali, con il loro consueto umorismo fine, cinico ed abrasivo e la sempre apprezzabile, mai banale e piatta cura formale, la realtà così come si presenta (e come l'esperienza di vita vuole che si presenti): la vita è un enorme punto interrogativo che pende sulle nostre teste. Nulla è certo ma nemmeno impossibile. Persino la matematica, il suo essere scienza esatta, viene qui ridefinita “la suprema arte del possibile”. È inutile arrovellarsi con complesse e contorte congetture sul ‘perché tutte a me’, perdere il sonno e fare brutti sogni per i propri sensi di colpa, scaturenti dalla convinzione che i guai siano la diretta logica conseguenza di uno spirito frivolo piuttosto che “serio”, come Dio comanda. Le cose avvengono e basta. Possono essere favorevoli o sfavorevoli. Al singolo la facoltà di vedere in esse l’intervento divino, al singolo la scelta di ritenere la propria confessione religiosa un aiuto o un ostacolo, una fonte di forza, di salvezza o di dannazione. Il mondo terreno e quello spirituale (religioso) sono agli antipodi, sono come due punti su una retta che mai s'incontreranno, nonostante dal proprio credo si attinga (o si riceva) il necessario, il giusto, a volte l'inatteso (la radiolina che pareva oramai irrimediabilmente perduta) per accettare e sostenere le prove della vita. E allora, forse, la verità sta proprio in quell’interrogazione iniziale: essere uomini di fede (“seri”) senza dover per forza rinnegare la propria natura terrena. E questo, il 'losco' ragazzino terribile pare proprio averlo capito.
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