Regia di Rob Schmidt vedi scheda film
Quando si guarda un film serioso, come questo vuole evidentemente essere, e già nelle prime battute si inizia a ridere qualcosa non va. La scena è questa: una bambina è in fuga disperata dal suo persecutore, urla, inciampa; nella scena successiva se ne vede il corpo morto e un poliziotto la osserva. Fin qui nulla da ridere. Il poliziotto poi, vedendo una figura avvicinarsi, le dice: “Tenente”. Ed ecco il tenente: è Eliza Dushku. Cosa? ma chi, la Faith di Buffy è un tenente di polizia? E qui si inizia a ridere … D’accordo che lei vanta un credito, essendo il miglior personaggio della suddetta serie tv, ma qua si esagera! E il prosieguo è peggio …
Allora, lei è incaricata delle indagini e forse scopre (e a tutti gli altri ovviamente sfugge) una peculiarità del killer; successivamente inizia ad avere allucinazioni visive e auditive, il fantasma della bambina le appare continuamente (in scene sature di goticheggiame gratuito e insensato) chiedendo, straziante, aiuto. E lei ovviamente va fuori di melone. Certo non aiuta avere per collega e fidanzato il più che imbolsito Cary Elwes (visto in decine di pellicole in parti più o meno significative, che però per me resterà sempre il Robin Hood in calzamaglia di Mel Brooks).
Quindi il tenente Dushku (tenente un bel paio di pere) tenta di uccidersi tagliandosi le vene; il tentativo non va a buon fine e lei entra in terapia per due anni. Lì conosce un tipo in carrozzella, il redivivo (ma anche redimorto) Timothy Hutton che si dimostra comprensivo e l’aiuta non poco (e qui uno dotato di un minimo di materia cerebrale già capisce tutto…). Finita la terapia, torna in polizia dietro a una scrivania, ma ci mette niente a tornare in azione (si, vabbè): ritorna il serial killer a mietere vittime e il suo ex fidanzato, ora capitano, le affida il ruolo di “consigliere” (certo non per dispensare utili consigli su come tagliarsi le vene) in appoggio a un rutilante (e ruttante) detective.
Morale: ritornano le visioni, le immagini stranianti e anche gli sbadigli; e lei va di nuovo fuori di anguria, fino all’incomprensibile, senza senso e ridicolo finale.
In tutto questo assurdo circo di banalità e scarsa originalità, si finisce col perdercisi dentro, e si pensa: si certo, mo’ si inventano che il serial killer ammazza solo bambine con le iniziali del nome e del cognome uguali e pure che ne porta il cadavere in città che sempre la stessa iniziale, facendo anche centinaia di miglia! e che minchiata! E invece è vero: the Alphabet killer è realmente esistito (e mai catturato), attivo dal 1971 al 1973, nella città di Rochester (quella del film) e con proprio quel modus operandi, persino le iniziali sono riportate correttamente nel film! Mah … Potevano sforzarsi un po’ di più. La Dushku è tanto carina e simpatica (l’unica che mi piacesse in Buffy), di questo film è anche produttrice, si impegna e ci crede, ma non sa recitare, come tante altre presunte attrici, anche più quotate.
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