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Capitalism: a love story

Regia di Michael Moore vedi scheda film

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La recensione su Capitalism: a love story

di sasso67
8 stelle

La filmografia di Michael Moore è un continuo appello a svegliarsi; ogni suo film è un “oh!” di meraviglia per il fatto che certi personaggi siano ancora là a farsi gli affari loro a spese nostre. Che il capitalismo sia un male (anzi, dopo la fine del “socialismo reale”, è IL MALE) lo dicono (quasi) tutti, a cominciare dai preti e dai vescovi cattolici e l’ha detto pure qualche papa. Il capitalismo, almeno così com’è oggi, è una truffa a cielo aperto; non c’è da vergognarsi a dirlo esplicitamente ed è stupefacente come ancora nessuno abbia preso seriamente l’iniziativa per rovesciare questo sistema iniquo. Come si meravigliava il giovane Benigni, viene da domandarsi come mai il capitalista è uno e i proletari sono diecimila e poi alle elezioni vince sempre il capitalista. La truffa del capitalismo è talmente lampante che neppure gli economisti né gli operatori finanziari riescono più a spiegare gli arzigogolati strumenti di questa nuova economia, che dovrebbe quanto meno cambiare nome. Economia significa “legge della casa”, anche se ormai l’unica legge, per ora negli USA, è quella che la casa la porta via a chi si è fidato dei pilastri del capitalismo: le multinazionali e le banche. Ma Michael Moore parla di Flint (la sua città), ma intende anche Pomigliano d’Arco, mostra Wall Street ma sottende Milano: tutte le belle invenzioni americane da noi arrivano in ritardo, ma arrivano sempre. E non è neppure colpa dei singoli individui che truffano la povera gente o prestano il proprio volto pacioso e rassicurante per nascondere gli artigli del Capitale; non è colpa di un politicante come Reagan (subentrato ad un presidente, Carter, che aveva apertamente parlato di crisi) né di un vero e proprio criminale come Madoff: è il sistema capitalista ad essere marcio fino al midollo. Michael Moore ce lo dice, poi, regoliamoci noi…

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