Regia di Barbara Sgambellone, Monica Sgambellone vedi scheda film
Linda, trent’anni a Torino. Una fobia per il bisturi e un disturbo clinico tutto femminile. Per curarsi, l’italo-argentina Maria Victoria Di Pace non ha scampo, intervento chirurgico o entro un anno gravidanza. Teoria che le sorelle Sgambellone, scenografe al grande salto, dallo script alla macchina da presa, mettono insieme sottoforma di favola, rosa e macchiettistica. Che strizza nei colori l’occhio ad Amélie e ha per chiosa una facile morale («più si ha paura che le cose accadano e più accadranno»). Scorre, questo è vero, ma tra luoghi comuni e apparentemente inevitabili (almeno qui e ora) “complessi” interrogativi dei ragazzi d’oggi. Mi scopo questo o quello? Me lo daranno mai un prestito se faccio per tutta la vita l’attrice squattrinata? Siamo un po’ alle solite (qui condite dal desiderio di colpire gli occhi, di sorprendere l’udito): la superficialità con cui vengono affrontati gli argomenti tiene a debita distanza testa e core. Recitazione un bel po’ forzata. Passi. Eccessi inverosimili e sentenziosetti. Passi. Voce narrante onnipresente e paterna. Passi. L’approssimazione con cui le simpatiche neo-registe gestiscono personaggi ed emozioni non si può invece proprio digerire.
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