Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
1954. Shutter Island è un'isola al largo della costa orientale degli Stati Uniti che ospita l'Ashecliffe, un manicomio criminale bunker in cui due agenti federali vengono spediti per indagare sulla scomparsa di una pericolosa detenuta. Shutter Island è un'impeccabile incursione di Martin Scorsese nel cinema di genere: un pregevole thriller psicologico che conquista da subito immergendo lo spettatore in un'intricata indagine nella quale si fatica a delineare con certezza quale sia il vero ruolo dei singoli giocatori in campo, quale sia il confine tra realtà e messinscena, tra paura e delirio, tra dati di fatto e mere ipotesi, incastrato com'è tra depistaggi e allucinazioni che (si) nutrono (del)la paranoia del protagonista. Paranoia che trova terreno fertile in una società abituata ad allenare i propri figli alla paura, educandoli alla diffidenza e rendendoli fin dalla culla schiavi di costrizioni e barriere mentali. Scorsese ingabbia lo spettatore in un labirinto di specchi, lo stringe in un crescendo claustrofibico di notevole intensità, lo cinge d'assedio bombardandolo con incubi ed immagini ansiogene che altro non sono se non parti degeneri delle nostre (in)coscienze. E' la paranoia indotta da un sistema sociale malato la vera protagonista del film, prima ancora della follia stessa, prima ancora della descrizione di questo lager sperduto nell'oceano, e prima ancora dei flashback ambientati nel campo di concentramento di Dachau che tormentano il sonno del protagonista. Ed è in virtù di questa che il regista si permette voli pindarici, modella la storia sulle proprie ossessioni e piega la trama alla sua necessità impellente: parlare del suo paese, dei mostri che (ha) crea(to), e di come la pazzia sia troppo spesso il castigo degli oppressi. E il finale, suprema quadratura del cerchio di un thriller senza cadute di tono ne buchi di sceneggiatura (tratta da un romanzo di Dennis Lehane, l'autore di Mystic River), in cui tutto torna e nulla è lasciato al caso, spiazza tanto è inattaccabile nitido e prodigo di dettagli chiarificatori. La marcia in più, il paradosso e il merito del film è proprio lì: aver istillato un dubbio che resta, sopravvive e va oltre la scorza di un epilogo chiuso e senza appello. Perché i deliri di un paranoico possono essere più attendibili di tante presunte verità vendute con l'inganno ad ignari soggetti sani o, se si vuole, semplicemente ammansiti.
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