Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
Strana la vita del cinefilo errante. Può capitare perfino che un film come "Crazy heart" dotato di notevole potenziale commerciale venga distribuito in dieci miserabili copie mentre un film massiccio ma molto cupo e tetro e piuttosto ostico come quello di Scorsese venga fatto uscire a raffica operando di fatto un'invasione militare delle multisale d'Italia. E questo non è solo un mio punto di vista: basta guardarsi intorno in sala per testare gli effetti di questa bizzarra situazione. Le mie orecchie hanno raccolto all'uscita reazioni che andavano dallo sconcertato al deluso passando per l'inviperito. Chiaro che non sto parlando di un pubblico di cinefili, dato che anch'io l'ho visto in una multisala, popolata di una moltitudine di gente che era lì affluita unicamente per vedere "quel film nuovo con Di Caprio" e credo proprio che sia stata colta di sorpresa da uno spettacolo che così spettrale e fosco certamente non s'aspettava. Personalmente, come faccio quando mi imbatto in un prodotto corposo e complesso come questo, ho sentito la necessità di vederlo una seconda volta. E ammetto che dopo una prima visione lo sconcerto e la perplessità dominavano i miei pensieri: avvertivo chiaramente l'autorevolissima mano del "Maestro" ma la struttura di una trama per la quale l'aggettivo complessa è un eufemismo, mi induceva ad un giudizio sospeso. Ero sconcertato da quel procedere per accumulo (eccessivo) di volti, fatti, novità, svolte, snodi, ribaltamenti continui di prospettiva. E giù di tutto: fantasmi, ricordi, incendi, nazisti, topi...ma soprattutto indizi che rovesciavano quanto visto fino a quel momento, in un meccanismo di sovrapposizioni talmente complicato che diventava quasi faticoso seguirne l'evoluzione. Ebbene, ad una seconda e più consapevole visione, il mio sconcerto si è placato e ha trovato una sua sponda più "complice", più duttile, più disposta a raccogliere lo "spirito" del film. Sì, perchè Scorsese questa volta ha realizzato un'opera POTENTISSIMA che ti assale, ti conquista, si insinua e ti scarica addosso un'inquietudine che non fa sconti e non ti lascia scampo. In giro ho letto critiche piuttosto diversificate. Nessuno lo ha stroncato: le recensioni vanno dall'entusiasta al perplesso; queste ultime accennano ad uno "Scorsese minore". Io sto ancora ultimando di metabolizzare la visione del film (è come aver mangiato un panino dal sapore buono ma talmente farcito da comportare una digestione lenta e difficile) e dunque il mio giudizio è diviso tra una fascinazione irresistibile di cui sono caduto vittima e l'atteggiamento di chi ancora non ha regolato i suoi conti con un'opera così (appunto) "indigesta". Però il concetto di "Scorsese minore" in ogni caso lo escluderei; parlerei piuttosto di uno Scorsese coraggioso nel tentare una strada nuova (intendo "nuova" per lui, è chiaro). Che poi, anche qui, su questo apetto dei "deja vu" ho letto troppe esagerazioni in giro. Chiaro che i riferimenti che vengono in mente sono più d'uno (a partire dal mitico "Corridoio della paura" di Samuel Fuller), tuttavia io sono convinto di aver visto un gran bel film d'Autore, frutto di una regìa molto personale, dotata di una POTENZA VISIVA che solo il genio creativo di un grande Maestro può permettersi. Le mie residue perplessità (poche e in via di dissolvimento) attengono ad una sceneggiatura che fa leva su una ricercata complessità, su una apparente compiaciuta ricerca del meccanismo destabilizzante. Come se si insistesse nel perseguire l'effetto inquietudine come cifra estetica e come sostanza, col vago rischio, in tale reiterata ossessività, di sconfinare nell'esercizio di stile. E questa ricerca sortisce (anche troppo) l'effetto voluto, perchè si tratta di uno dei film più paurosi, inquietanti e cupi che abbia mai visto. Nero. Nerissimo. E per giunta non bilanciato da nessuna via di fuga, nessuno snodo consolatorio. Anzi. L'unica alternativa al pessimismo nerissimo è uno squarcio che si apre nel momento finale, peraltro caratterizzato da un tale carico di ambiguità da apparire comunque intinto nell'inchiostro dello sconcerto e dell'inquietudine. C'è una cosa che mi preme dire a chi si accinge alla visione nelle prossime ore (o giorni). Guai a voi se vi dovesse capitare di entrare in sala a proiezione già iniziata...Sappiate che le immagini di apertura del film (diciamo anche tutta la prima mezzora) sono talmente visivamente POTENTI da togliere il fiato. Questa prima mezzora mi ha colto impreparato e sgomento (in senso positivo!): è difficile descrivere quello che si prova, è un impatto talmente emozionante da toccare vette assolute di eccellenza cinematografica. Voi immaginate che appena si spengono le luci in sala, venite proiettati in una situazione assolutamente IMPONENTE, MASSICCIA; POTENTISSIMA. L'avvicinarsi a quell'isola, le (STUPENDE!!) inquadrature dall'alto che ci mostrano gli edifici del manicomio criminale e il verde che lo circonda, il tutto sottolineato da musiche martellanti e minacciose (sulla ricercatissima soundtrack occorrerebbe un discorso a parte)...beh, insomma, ragazzi, si viene a creare
un PATHOS talmente POTENTE da essere quasi insostenibile. Scorsese accompagna lo spettatore nella visita a questo ospedale-carcere, ne esplora i cunicoli e gli anfratti, le fredde celle, i percorsi bui e inospitali, un luogo dove davvero tempo e spazio sembrano aver smarrito ogni dimensione. E in questo indugiare, i movimenti della macchina da presa quasi ti divorano, come se ti venisse iniettata una droga, come se qualcosa alterasse i tuoi sensi e la tua percezione. Diventi schiavo di quelle immagini. Ormai "plagiato" da quelle inquadrature iniziali dall'alto, percepisci una sorta di pericoloso tuffo al cuore. Insomma, tagliamo corto: questa mezzora iniziale è un capolavoro, materiale da Storia del Cinema Contemporaneo. E dopo un inizio così devastante, è con una certa resistenza che si accetta quello che segue, perchè è da lì che si dipana quel meccanismo complicatissimo cui accennavo prima. E forse non è nemmeno sufficiente prestare tutta l'attenzione necessaria, formulare collegamenti e ragionamenti...perchè l'ambiguità, l'enigma, l'incertezza, prendono il sopravvento su tutto il resto. E a quel punto i casi sono solo due. O si rinuncia a "partecipare" e si semplifica tutto respingendo in blocco una sceneggiatura definendola bislacca (atteggiamento rigido sconsigliato). Oppure si sta al gioco, prendendo per buono anche ciò che appare irragionevole od oscuro, e allora ci sono ottime probabilità (parlo per esperienza personale) di cadere piacevolmente nella trappola di una fascinazione tremenda. E poi, se uno cerca una Verità univoca in quest'opera meglio cambi atteggiamento. Se c'è, essa è INAFFERRABILE ed è proprio questo senso di non poterla afferrare che si insinua nello spettatore e lo travolge. E le sequenze che generano malessere e palpitante inquietudine sono davvero tante. Io vorrei qui evocarne una che mi è parsa di una forza "eversiva" allucinante e di una potenza che mi ha gettato nello sconforto, tanta è stata la mia difficoltà nell'accoglierla. In tutto una manciata di minuti, ma da brivido lungo la schiena, la cui intensità solo un Maestro come Scorsese poteva rappresentare: è la scena in cui il direttore del carcere fa salire sulla sua jeep Di Caprio esternandogli in poche frasi la sua visione del mondo, della vita e del senso che abbiamo noi umani su questa terra. Immaginatevi quest'uomo in divisa militare da alto ufficiale, dotato di ghigno e postura da criminale di guerra nazista, che sibila mellifluo parole agghiaccianti che ora tento di citare a memoria. "La violenza è un dono di Dio. Se ce n'è così tanta nel mondo è perchè Dio esige che noi la pratichiamo per compiacerlo. Non esiste un ordine morale, ma tutto è naturalmente regolato da una lotta tra chi è più violento e dunque riuscirà ad imporsi. E Dio ama tutto questo." Che dire, se non restare basiti da queste parole, peraltro pronunciate con un sorrisetto che mette i brividi? E si arriva così, tra visioni e fantasmi, a quel finale che non racconterò, anche perchè nessuno credo sia in grado di raccontarlo, nella sua impossibilità di univoca interpretazione. Un finale che aggiunge inquietudine all'inquietudine. Apro, e subito chiudo, la parentesi sulla colonna sonora. E', come dicevo, sofisticata e di gran classe, nell'ambito di un progetto curato nientemeno che da Robbie Robertson, storico leader della Band di Bob Dylan, in cui è coinvolto pure Brian Eno e in cui ha grande incisività la presenza di brani di Penderecky, Ligeti e Cage. E d'altra parte i gusti musicali raffinati di Scorsese sono cosa risaputa da tempo. Il cast. Mark Ruffalo ambiguo e trattenuto come il personaggio "incerto" richiede. Ben Kingsley e Max Von Sydow magistrali nei rispettivi personaggi, abilissimi nell'esprimere la pacata bonarietà di chi nasconde il Male assoluto dietro un involucro pomposo e quasi aristocarico. Di Caprio talmente bravo da meritare un'ovazione. Chi altro sarebbe stato in grado di interpretare un ruolo così "esasperato" in modo tanto intenso senza mai sconfinare nel gigionismo e nel "sopra le righe"? Soltanto "Leo", grazie anche -va da sè- ad una alchimìa consolidatissima fra lui e il "Maestro" Scorsese. Se volete vedere un film non qualunque, che implichi anche un'esperienza psicologica ed emozionale davvero impegnativa, questo è il film che fa per voi.
Voto: 10
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