Regia di Yann Arthus-Bertrand vedi scheda film
Comincia come una puntata di Superquark spiegandoci la nascita del pianeta Terra; poi vira verso un registro apocalittico e calligrafico, per consegnarci infine un congedo pieno di speranza: è un tripudio di contraddizioni questo documentario tanto sorprendente nella forma quanto didascalico e predicatorio nei contenuti. Già dai titoli di testa qualcosa stride: si parla dello stato di salute del pianeta, della sua vegetazione, della sua fauna e del suo clima ma gli sponsor sono Gucci, Yves-Saint-Laurent, Puma, Fnac e tanti altri ancora che non sono i massimi campioni di preservazione del pianeta e di rispetto ambientale. Per due terzi, tuttavia, il film sorprende per l'inusitata e strepitosa qualità delle immagini: tutte riprese aeree che a tratti trasformano il paesaggio terrestre in quadri pittorici astratti, in geometrie imprevedibili, in cromatismi sfolgoranti. Mentre gli spazi così diversi ritratti in più di 50 paesi diversi si susseguono accostando meridiani e paralleli dell'intero globo terracqueo e formando un mirabile mosaico, la monotona voce off che le accompagna riporta commenti, cifre, dati, premonizioni che ormai dovrebbero essere noti a tutti, a dispetto della disinformazione e della controffensiva degli anti-ambientalisti: foreste che scompaiono a ritmi vertiginosi, ghiacci che sono diminuiti del 40% in appena 40 anni, popolazioni indigenti e città come Dubai che sono la massima espressione del verbo plutarchico, specie animali che si estinguono, fiumi che non scorrono più.
Ma a fronte di tante nefandezze e di tanto scempio c'è un'umanità sensibile che cerca di recuperare terreno, che tenta di invertire la rotta, che traccia un segno di speranza per il domani. Didascalico, retorico, magniloquente, il documentario prodotto da Luc Besson nonostante tutte le contraddizioni si lascia apprezzare per il fascino indiscutibile di immagini mai viste e per lo schieramento palesato, collocandosi nel solco del riuscito Una scomoda verità.
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